Cari arroganti, ci rimettete a rubare il mestiere a Renzi

Cari arroganti, ci rimettete a rubare il mestiere a Renzi

La demolizione dell’avversario attraverso la sua derisione e/o sottovalutazione è una vecchia tecnica, questa sì, dal vago sapore fascista. È un atteggiamento che può scaturire da ragioni diverse, non tutte riconducibili a un sentimento di paura dell’avversario.

In alcuni casi, può emergere quel surplus di arroganza che i cosiddetti vecchi hanno nei confronti dei «pivelli», unito all’umanamente patetico senso di resistenza che porta ai limiti (e ben oltre) la dignità dei «resistenti». In altri, c’è davvero un’opposizione feroce a qualsiasi modernismo, anche nell’accezione meno positiva che la parola sottende, e cioè quell’accelerazione inaspettata e magari poco rispettosa del bon ton che certe persone vogliono imprimere alla società. Infine, ci sono quelli che identificano il (possibile) nuovo come un’autentica maledizione di Satana. Costoro racchiudono tutte le istanze sociali in quel microcosmo che coltivarono nel secolo scorso e che hanno l’inossidabile pretesa di perpetuare in quello attuale. 

Il giovane Renzi (alla sua età Blair era primo ministro) ha tutte le buone «qualità» per farsi odiare e ci sta perfettamente riuscendo. Due episodi rendono molto luminoso il risentimento degli «altri» nei suoi confronti e il primo – forse il più significativo – ci porta stranamente fuori dal recinto stretto della sinistra per finire nella fauci della Balena Bianca. L’altro giorno, in una conversazione autostradale con Federico Geremicca della Stampa, Pierferdinando Casini ha usato proprio quella tecnica parafascista di cui si parlava poco fa, per derubricare il sindaco di Firenze a ragazzotto di provincia che non sarebbe in grado di tenere forchetta e coltello secondo le regole del bon ton. Ha detto il Pier: «Fa ridere immaginare lui, e non Monti, parlare alla Merkel». Bene ha fatto Massimiliano Gallo a parlare di «nonnismo». Ora, detto che noi tutta la vita si è riso di quel che faceva Casini, dovremmo concludere che il genero di Caltagirone non può essere il giudice migliore per dare patenti di credibilità a destra e sinistra. 

Il secondo episodio ha visto come protagonista Massimo D’Alema, il quale non si è discostato troppo dalla linea Casini, opponendo all’idea di un Renzi vincente alle primarie lo spettro del disfacimento del Pd. «Renzi non mi sembra adatto a governare il Paese, né a unire il partito e a fare una coalizione». Insomma, un buono a nulla, uno sfaccendato politico, una motozappa delle istituzioni. 

Non oso nemmeno immaginare un Renzi che vince le primarie. Sarebbe un vero e proprio terremoto all’interno della sinistra, rimodellerebbe sensibilmente i contorni di un partito che oggi ha la testa voltata ancora più a sinistra e che il sindaco di Firenze, con una traumatica torsione di 180 gradi, riporterebbe nello stagno di una destra dall’apparenza troppo decisionista. Ma se lo si continua a sfruculiare proprio sul suo terreno – il terreno dell’arroganza, della sbrigatività politica, del togliere di mezzo persone e culture – ecco, allora, la fine di Bersani (in questo frangente intelligentemente moderato) è già scritta e, con la sua, anche quella del Pd che il segretario ha rimodellato in questi anni. 

Non credo che a un uomo autenticamente di sinistra possa piacere il tratto (dis)umano di Matteo Renzi. Un tipetto certamente sveglio che però ha il brutto vizio di considerare le persone, gli umani come lui, come materiale da rimuovere con il carro attrezzi, da spazzare via senza neppure un tratto di eleganza interiore, un dirigente politico che approfitta della pancia dei poveri italiani sfibrati per mettere in piedi il suo teatrino anticasta. Tanto per capirci: Renzi non è una persona elegante, Berlinguer era una persona elegante. È una questione di stile, semplicemente. 

E poi ha decisamente ragione Peppino Caldarola, che in Renzi vede lucidamente quello che non c’è: «Mi sembra sbalorditivo – scrive – che non trovi una parola sulle miniere sarde, sull’Ilva, sui disoccupati, eccetera, eccetera…» Ma questa è l’epoca dei leader che vedono appena oltre il loro naso e non di più. Recintano un piccolo campo, lo arano, e poi fanno i professori del poco, pochissimo che sanno (e che hanno). E pretendono anche che il mondo gli giri attorno. Capita così anche al centro, dove si agitano Fermare il Declino e Italia Futura. Lì valgono solo i «danée», per i mille altri problemi rivolgersi altrove. 

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