Attorno alla villa di Pietro Mascagni un intrigo di donne e di P2

Attorno alla villa di Pietro Mascagni un intrigo di donne e di P2

Se ci si arriva in treno, ancora oggi sui cartelli della stazione c’è scritto solo Antignano. Livorno ai tempi finiva più a nord. In quel borgo fuori città, buono per le villeggiature dei ricchi, prese casa Pietro Mascagni, il livornese emigrato a Cerignola dove scrisse quella “Cavalleria rusticana” che gli valse gloria mondiale. Villa Mascagni, vicina a una bella scalinata che si getta nel mare bandiera blu, come altre ville del circondario è bella ed elegante: incarna il gusto sofisticato di quella borghesia della belle epoque e degli anni a seguire, che per le proprie dimore lungo quel tratto tirrenico ondivagò tra lo stile liberty, l’art nouveau, l’eclettismo e una punta infine di razionalismo.

Abitare lì era un segno distintivo, e lo è ancora oggi, anche se molto è cambiato: Livorno da tempo ha inglobato Antignano, alla Banditella dove andavano a dipingere i macchiaioli l’edilizia ha cambiato completamente il panorama, e tutta la zona da esclusivo luogo balneare che era, ora è un quartiere cittadino, per quanto aggraziato.

Ma Villa Mascagni, come le altre, ha un fascino che resiste. Tanto che per averla si è sviluppata una storia che sta a cavallo tra il busillis giudiziario e un intreccio da romanzo. Il Tirreno l’ha raccontata pochi giorni fa, ma è curioso approfondirlo perché testimonia di come un luogo nel volgere di meno di un secolo possa farsi palcoscenico di diverse stagioni, di diverse tipologie umane, di diverse passioni. Tenendo assieme l’opera lirica e l’ultima stagione del pianeta craxiano, passando per la grande industria e la P2.

Il maestro livornese venne qui durante la Prima guerra mondiale, qui vi compose una sua opera, “Lodoletta”, qui visse per qualche tempo prima di trasferirsi in pianta stabile a Roma. La villa dalle mani della figlia del musicista passò nel 1958 poi a Fernanda Fernandez Affricano, giovane ereditiera di una importante famiglia labronica. Erano, i Fernandez Affricano, d’ascendenza portoghese, mercanti ebrei che a Livorno dal Cinquecento in poi si dedicarono a un’attività che attraverso i secoli spaziò per le rive del Mediterraneo, abbracciando vari settori d’interesse. A fine Ottocento la svolta decisiva, con Leone Enrico, che fondò una ditta individuale di Commissioni, rappresentanze e depositi.

La famiglia divenne tra le più ricche di Livorno; il testimone passò al figlio Paolo. Le persecuzioni razziali del fascismo imposero poi l’allontanamento da Livorno, ma a guerra finita si ritornò a casa. L’attività di famiglia nel tempo ha cambiato pelle, oggi è centrata soprattutto sugli oli vegetali. Le redini oggi sono in mano a Enrico, solido industriale (ha fondato e dirige la Intramark), importante personalità cittadina (ex presidente del Livorno calcio e della Porto Livorno 2000), con un prestigioso profilo internazionale soprattutto Oltralpe, tanto da essere nominato nel 1995 Console di Francia e premiato nel 2004 dal Presidente Chirac come “Chevalier Du Merit”. Sua sorella Fernanda è l’inquilina di Villa Mascagni, che ha occupato con la sua famiglia, sempre molto attiva nella cultura e nella mondanità di Livorno. Suo marito era Antonio Pacella, altro nome importante dell’industria labronica: diresse lo stabilimento Solvay di Rosignano, poi si mise in proprio nella chimica con la Plastifiber, non senza subire il fascino del venerabile pistoiese Licio Gelli, alla cui Loggia P2 si iscrisse.

Villa Mascagni, gioiello di 450 metri quadrati stesi su due piani e 1.500 metri quadrati di giardino a oleandri e tamerici, con la coppia visse una lunga stagione di protagonismo, tra ricevimenti e feste. E furono eseguiti lavori importanti: costruirono la piscina, un’autorimessa di duecento metri quadri, una dépendance con cinque appartamenti. 

Nel 2008 Pacella morì. Villa Mascagni divenne un’incombenza troppo impegnativa per la signora Fernanda, che così decise di metterla in vendita. Ed è a questo punto che è comparsa sulla scena un’altra signora, anche lei livornese. Si chiama Tatiana Barchielli, ha 66 anni, abita vicino Villa Mascagni. Notizie del web la indicano responsabile amministrativa di una azienda immobiliare tirolese. Ma le cronache hanno intercettato il suo nome per una brutta storia di truffa che aveva come protagonista un nome ben più noto di lei: Enza Tomaselli, la segretaria personale di Bettino Craxi, la regina assoluta del celebre ufficio milanese in Piazza Duomo 19. La Tomaselli fu inquisita perché tra il 1996 e il 2000 prometteva finanziamenti a imprenditori incassando ingenti soldi come assicurazione sul prestito. Lei in tribunale a Milano si difese in lacrime sostenendo di averlo fatto per amore: non riusciva a dire di no all’uomo di cui si era infatuata, Vincenzo Cutullè, indicato come mente del piano, e anche come “appartenente alla ‘ndrangheta” in un dispaccio della Afp del 1994. Del sodalizio faceva parte anche la Barchielli, insieme a un quarto uomo, Vincenzo Auteri. Per la Barchielli scattò la prescrizione (che poi arrivò anche per la Tomaselli in secondo grado).

La storia di pochi mesi fa è che l’acquirente presenta un’offerta di quattro milioni e duecentomila euro. Prima però devono passare 60 giorni perché Villa Mascagni è di interesse storico e lo Stato ha un diritto di prelazione. Diritto che lo Stato non esercita. Scadono i termini. La Barchielli è la nuova proprietaria della villa. C’è un però: non è stato versato un euro. La signora Fernanda naturalmente non si è mossa dalla villa, ma rischia lo sfratto, o che la villa sia rivenduta, o che la dimora e le pertinenze entrino in qualche operazione immobiliare o finanziaria. E così, attraverso un avvocato, deposita la richiesta di risoluzione al tribunale civile, chiedendo l’annullamento del contratto di compravendita.

A novembre la prima udienza «ma intanto l’azione giudiziale – spiega il legale della Fernandez Affricano al Tirreno – ha impedito il rischio concreto che la Barchielli tenti di rivendere la villa, magari riuscendoci». Nessuna azione penale invece verso la compratrice a costo zero. «Se Barchielli avesse organizzato questa vicenda sapendo di non pagare, si potrebbe ipotizzare l’insolvenza fraudolenta, ma a noi non interessa ottenere una condanna, ma che il trasferimento di proprietà venga annullato», è la parola del legale.

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