L’Autorità per i trasporti? A Trenitalia piace se non c’è

L’Autorità per i trasporti? A Trenitalia piace se non c’è

Dopo anni di inerzia e indecisione, chi si occupa di trasporti in Italia si aspettava che l’esecutivo di Mario Monti desse una sterzata decisa al trend degli ultimi anni, caratterizzato dalla totale ignavia di chi (in primis i vari ministri succedutisi ai Trasporti), timoroso di assumere decisioni impopolari o spinose, non ha mai preso in mano la situazione per fare del settore un elemento di sviluppo economico del paese, come la posizione logistica dell’Italia e il suo ruolo di popoloso centro di consumo e di industria votata all’export avrebbero suggerito di fare.

Invece, a quasi un anno dalla nomina, il giudizio sul Governo in carica per quanto riguarda i provvedimenti assunti in materia di trasporti tende decisamente all’insufficienza: manca del tutto una politica organica di settore, non sono stati intrapresi interventi puntuali che avrebbero se non altro aiutato il comparto, alcune decisioni prese sono apparse estemporanee quando non contraddittorie e su altri temi si è preferito invece sorvolare, lasciando l’onere della decisione a chi verrà dopo.

Autorità dei Trasporti e rete ferroviaria

Emblematico il caso dell’Autorità dei Trasporti, l’unico a beneficiare di un minimo di eco nelle cronache nazionali generaliste degli ultimi giorni. Anche perché, effettivamente, davvero disarmante. L’istituzione del nuovo garante era prevista già dal Decreto Cresci Italia del gennaio scorso, dopodiché se ne erano perse le tracce. Fino a giugno, quando il Governo nominò Mario Sebastiani a presidente della nascente Autorità di regolazione dei Trasporti e Pasquale De Lise e Barbara Marinali (funzionaria del Ministero dei Trasporti) come membri della stessa.
Naturalmente, essendo il primo un tecnico (professore ordinario a Tor Vergata), ma con esperienze di consigliere economico di diversi Ministri dei trasporti, per lo più di centrosinistra (Caravale, Burlando, Treu, Bersani), ed il secondo un magistrato amministrativo (75enne, sic) accreditato di amicizie nel centrodestra e forte di un curriculum infinito di incarichi parapubblici, le commissioni parlamentari incaricate di ratificare la nomina hanno bloccato tutto.

Passati altri mesi in silenzio, da qualche settimana, complici alcune interrogazioni parlamentari, il tema è tornato di moda, pencolando fra candidature più o meno credibili (fra i tanti: Maria Rita Lorenzetti, ex-presidente della Regione Umbria, nonché al vertice di Italferr, società del Gruppo FS, Vito Riggio, al vertice dell’Enac dal 2003, Mario Valducci, presidente della Commissione Trasporti della Camera, Gian Maria Gros-Pietro, consigliere di amministrazione di Atlantia, holding cui fa capo Autostrade per l’Italia, Alessandro Ortis, ex presidente dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas ed ex vicepresidente dell’ENEL) e sempre disattesi annunci del Governo sulla prossima individuazione di una nuova terna.

L’ultimo dei quali, ieri, ad opera del viceministro di Infrastrutture e Trasporti Mario Ciaccia, anche se più significativo è stato il penultimo, veicolato dal sottosegretario Guido Improta durante un convegno sul tema organizzato a Roma da Federmobilità a inizio mese. Prima di Improta, infatti, è intervenuto Mauro Moretti, plenipotenziario del Gruppo FS, le cui parole, considerando che uno dei più attesi e annosi gineprai affibbiati alla nuova Authority sarà la valutazione sulla separazione fra Trenitalia (utente della rete ferroviaria) e RFI (gestore della stessa), oggi appartenenti ad una medesima holding, aiutano forse a spiegare, almeno in parte, l’impasse governativo: “In Italia cerchiamo sempre il doppio salto mortale per risolvere i problemi: l’Autorità dei Trasporti rappresenta un caso unico in Europa, ma qualora si pensi che potrà sopperire all’evidente assenza di una politica dei trasporti, ci si assume un rischio molto forte. L’Autorità non potrà fare politica, anche perché risponderà civilmente e penalmente delle proprie decisioni. La liberalizzazione del settore ferroviario è peraltro già avvenuta in Italia, all’estero ci indicano come un esempio. L’Autorità avrà piuttosto il compito difficilissimo di valutare in modo scientifico – le indicazioni al riguardo di Istituti come il ‘Bruno Leoni’ sono prive di qualsivoglia riscontro documentale – se in ambito ferroviario vigano regole fair e quali settori siano davvero da liberalizzare”.

E via, da oratore consumato, con un inattaccabile elenco di distorsioni ai principi del libero commercio presenti in altri settori del trasporto – dalla non reciprocità di monopolio sulla Roma-Milano, con riferimento incrociato a NTV ed Alitalia, alle manovre ferroviarie portuali monopolizzate per legge fino ai sussidi all’autotrasporto – prima di concludere con una stoccata al Governo: “Prima occorre occuparsi di liberalizzare i diversi settori, poi ha senso discutere della separazione fra RFI e Trenitalia, che è solo un problema di costi: se conviene allo Stato e al cittadino si fa, altrimenti no. Quello che deve fare l’Autorità è uno studio accurato – il CER – Community of European Railways (che Moretti presiede, nda) lo ha già fatto, concludendo che in mercati grandi non conviene – supportato da numeri scientificamente accertati: a quel punto starà alla politica decidere, ma solo chi è eletto ha titolo per assumere decisioni politiche”.

Insomma, i veti della politica più che una causa sembrano un pretesto: alle Ferrovie dello Stato – forti del riassetto finanziario della gestione Moretti, capace di ridurre (il ‘come’ meriterebbe un trattato a sé) una voragine ad una piccola falla (sul punto ovviamente non esiste una verità, ma, anche a dar retta ai concorrenti di Trenitalia, quest’ultima costerebbe allo Stato ‘solo’ 130 milioni di euro circa per il servizio universale) – un’Authority che possa recidere di netto il legame fra giocatore (Trenitalia) e arbitro (RFI) o che possa perlomeno renderlo più trasparente e meno penalizzante per gli altri giocatori non piace e l’Authority da nove mesi resta un’istituzione di carta. 

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