“L’Italia è un vicereame (…). Il vicereame è il modello di governo e di potere al quale gli italiani sono più abituati e, in fondo, quello che prediligono. Tutti noi italiani abbiamo sempre saputo, in anni non troppo lontani della nostra storia, che chi ci governava non parlava la nostra lingua, ma, di volta in volta, il greco, il barbaro, lo spagnolo, il francese, l’inglese, il tedesco, il piemontese, il latino; e abbiamo sempre saputo che da Vienna, da Madrid, da Roma, da Torino, gli ordini partivano senza mai violare, mai disturbare il diritto al nostro ‘particolare’, a condizione che questo ‘particolare’ si tenesse ben confinato nel suo recinto, sempre al di qua della soglia, dove la vita politica diventa un progetto di trasformazione ordinato e coerente. Eravamo, e siamo, una provincia. Che cosa è cambiato?”(Cesare Galboli, Il paese dei vicereami, in “la Repubblica”, 3 settembre 1986, poi in Cesare Garboli, Ricordi tristi e civili, Einaudi, Torino 2001, p. 37)
Credo che sia difficile oggi che qualcuno non la pensi così, ma è interessante sapere perché non la pensa così. Molti diranno che è la crisi economica, l’Europa della finanza che rinnova questa condizione di provincia periferica dell’impero. Io non direi
Direi, invece, che quella condizione ha una scelta che talvolta è anche apparsa come una rivendicazione di autonomia.
“Tengo famiglia” e “mi faccio i fatti miei” è un binomio che ha funzionato da legge di governo di una società civile che non voleva essere posta sottosequestro dallo Stato. In anni più recenti questo principio, che a molti sembrava indecente o comunque la dimostrazione di un meridione amorale, è stato tradotto in uno slogan che ha avuto più fortuna e che sembrava postmoderno. Uno slogan che ha girato con successo nell’Italia settentrionale: “Padroni a casa nostra”. Forse a molti è sembrato che questo fosse una rivendicazione di autonomia per davvero, ma a me sembra che contenesse lo stesso tipo di questioni tra etica e politica che presentavano “Tengo famiglia” e “mi faccio i fatti miei”.
E’ facile e probabilmente anche molto criticabile che qualcuno oggi si alzi e faccia la morale col dito alzato – e del resto se questa scena si è ripetuta più volte nella storia politica italiana forse vorrà dire che qualcosa di profondo sta in questa questione e che non è solo la fisima di qualcuno con lo stomaco delicato.
Ma anche nella critica a chi fa la critica io trovo un vecchio vizio.
La società civile non ha mai sopportato molto chi la criticasse o ne mettesse a nudo i comportamenti o richiamasse a un senso del dovere.
Per esempio: non è questo, alla fine, il senso del conflitto tra Pinocchio e il grillo parlante? E dunque non stiamo parlando in fondo di un vecchio vizio su cui la cosa più ridicola è scandalizzarsi? Non sarebbe meglio, anziché scandalizzarsi, smettere di pensare che tutto ciò che ci sta capitando sia il risultato di uno nostra distrazione? E che no, se fossimo stati attenti, questo non sarebbe accaduto? Ma chi voleva stare attento? Non eravamo tutti impegnati a essere “padroni a casa nostra”?