Il Pd è pronto a governare, ma manca un’idea di futuro

Il Pd è pronto a governare, ma manca un’idea di futuro

Pochi minuti dopo il faccia a faccia Bersani-Renzi è andata in onda “Porta a porta” con Lupi, Gelmini, Santanchè e Meloni ed allora si è capito bene quel che era successo nel dibattito di prima serata. Era successo che un partito si era rivelato abbastanza pronto a guidare il paese, democratico al punto da esibire con franchezza le sue divisioni, civile nel disputarsi il comando. L’altro, invece, si avvia alla decomposizione.

Il Pd di ieri sera era una forza di governo. Ma è davvero pronto a governare? La domanda, o se volete il dubbio, è venuta dallo stesso faccia a faccia. Ieri sera su Rai 1 si è visto un partito in ascesa e un altro in disgregazione, ma sia il probabile successo sia la prevedibile caduta, non sono apparse all’altezza dei tempi. Voglio dire che il Pd è apparso vitale ma non travolgente, il Pdl è apparso decaduto ma ancora senza eredi, e questo è un problema per la democrazia italiana perché rende senza rappresentanza milioni di italiani.

Che cosa è mancato al Pd di ieri sera per essere travolgente? È mancata, per così dire, in primo luogo, la cattiveria. Nelle primarie della casa madre, cioè americane, i due competitor se le danno di santa ragione. I nostri duellanti sono apparsi trattenuti con due soli momenti di acidità: quando Renzi ha ricordato a Bersani il numero di giorni trascorsi al governo, e Bersani ha detto a Renzi che deve ancora studiare bene i dossier di cui parla. Tutto qui. Poi il resto è stato abbastanza a scontato: con la bonomia di Bersani, in verità molto sceneggiata, e l’irruenza di Renzi, molto controllata.

Seguendo il dopo-dibattito su Facebook ho capito che il faccia a faccia non ha spostato nulla. I tifosi dell’uno sono rimasti nella propria posizione. Del resto era ovvio. Erano due mondi contrapposti. Ha ragione Jacopo Tondelli a sottolinearlo. Renzi ha dalla sua il futuro, scusate se è poco. Non so se sarà lui il nostro futuro ma il suo merito storico è quello di aver detto – non era mai successo nella politica italiana – che una generazione non ancora quarantenne ha i titoli e la voglia di governare non “con” gli anziani ma “al posto” degli anziani. Bersani è si è trovato nella felice e transitoria condizione di essere il traghettatore, come quei fidanzati provvisori che sostituiscono un amore finito in attesa che arrivi quello vero. Ho simpatia per Bersani, ma mi irrita il suo entourage, saccente e tronfio, anche sulle regole.

Ieri il segretario è sembrato già pronto a governare ma non ci ha detto molto di quel che vuol fare. L’ho già scritto, non mi aspetto che chi vince abbia in testa che il suo compito è difficile, mi aspetto che lo dica al paese. Renzi ha proposto una sua ricetta molto blairiana. Non so se siamo a quel tempo. Oggi molte cose ci spingono a riconsiderare, ad esempio, il ruolo dello Stato, diversamente dagli anni interventisti ma anche da quelli dell’antistatalismo. Bersani avrebbe dovuto rispondere con chiarezza alle domande che né Renzi né la conduttrice gli hanno fatto sul profilo del paese.

È mai possibile che un leader politico non abbia in mente chi dovrà guidare la corsa? Nel dopoguerra si pensò che fossero l’auto e il capitalismo nelle campagne. Oggi vogliamo Marchionne o Farinetti? Il Riva di Taranto e di Genova va contrastato e cacciato o incalzato e trattenuto? Il sindacato va sfidato sulla corresponsabilità oppure va blandito e talvolta esautorato? Nella sanità che cosa bisogna fare per confermare il suo carattere pubblico iniziando a cancellare il suo carattere di luogo di contenimento della disoccupazione spesso a favore di favoritismi, nepotismo, nulla facenza? Insomma c’è un discorso crudo che va fatto al paese.

Ieri – scusate l’autocitazione ma i vecchi sono così – ho parlato della necessità di riproporre le parole pronunciate da Churchill e Kennedy, oggi mi convinco che la vera frase da dire è quella di de Gaulle: “La ricreazione è finita”. Renzi ha parlato esplicitamente dei ceti medi a cui si rivolge. È stata un intuizione. Bersani ha parlato di popolo. Vorrei fosse più preciso.

Mi sarei infine aspettato dai due qualcosa di più sul governo futuro. Mi aspettavo che Bersani ci stupisse. Non l’ha fatto. Volevo nomi, volevo che dicesse con chiarezza che nel nome dell’usato sicuro fosse pronto a chiamare al governo le migliori teste del paese e non la nomenklatura di partito, giovani turchi compresi.

Insomma, è stato, quello di ieri, un Pd aperto, molto più aperto di tutti gli altri attori della scena politica, più di Berlusconi e di Grillo, ma è ancora troppo poco. Renzi ha dimostrato ieri la sua forza e anche la sua debolezza.

Lo dico con franchezza. Il mio scetticismo su di lui nasce dal fatto che ho sempre l’impressione che non maneggi con convinzione i temi di cui tratta. È un primo della classe che ha imparato la lezione, che strizza l’occhio alla maestra, che è più brillante degli altri allievi. I giovani che hanno cambiato il mondo in Occidente, da Clinton a Blair, per risalire a Kennedy, sembravano più preparati, già pronti all’impresa. È una impressione personale. Vale quel che vale.

Comunque a lui il merito di aver esposto il tema di fondo dell’Italia: è troppo vecchia, ha bisogno di una scossa generazionale, di freschezza di idee, di intemperanze. Il paese ha bisogno di rischiare per guadagnarsi il futuro. Bersani dovrà assicurare, se vincerà, che questo processo sia affidato all’oggi e non rinviato a un domani in cui i Renzi saranno già troppo vecchi. Il Pd tutto assieme ieri ha dimostrato che è non solo l’unico partito in grado di governare, ma l’unico in cui la democrazia è un canone accettato da tutti. È una buona cosa. 

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