Siena, dove Renzi trionfa sui disastri di Mps e del partito

Siena, dove Renzi trionfa sui disastri di Mps e del partito

SIENA – Matteo Renzi: 22.899 preferenze, 54.2%; Pier Luigi Bersani: 15.184 voti, 36%. Non si può prescindere dai dati se si vuole tracciare il bilancio di vincitori e vinti, anche in quella piccola sfida locale che sono state le primarie a Siena. La città del Palio, certo. Ma anche la città del commissario, e del Monte in difficoltà, dove politica e affari vanno di pari passo. A Maggio, nel volgere di qualche settimana, il sindaco Franco Ceccuzzi (Pd) si è dimesso, e i vertici della banca hanno subito una raffica di perquisizioni, legate all’affaire-Antonveneta. Qui – e in provincia – «Matteo» ha vinto contro «Pier Luigi», che ha invece prevalso nettamento a livello nazionale. Proprio qui, in una storica roccaforte del potere ex-diessino. Perché?

Si può cercare una spiegazione tornando indietro a sabato sera, quando il sindaco di Firenze ha chiuso la sua campagna elettorale proprio a Siena. «Sarà difficile per Mps uscire da questa situazione, ma sicuramente c’è una parte della sinistra che non si può permettere, oggi, di fare le pulci a nessuno. Il governo D’Alema favorì la scalata dei capitani coraggiosi alla Telecom, coinvolgendo addirittura il fondo pensioni e la cassa depositi e prestiti. Avete letto, poi, i verbali del governatore Fazio? Riceveva i leader politici per decidere quale banca scalare, a partire dalla Banca 121 del Salento». Dentro un Pala Mens Sana non pienissimo, quella sera «Matteo» ha toccato le corde giuste per ottenere il favore dei senesi accorsi ad ascoltarlo: le difficoltà della banca più antica d’Italia, e la gestione della stessa, da parte della politica. Fin da subito, la scelta di chiudere la campagna per le primarie nel borgo delle 17 contrade non è parsa casuale. Siena come simbolo della sua battaglia per il rinnovamento ma, anche, location per rispondere a chi gli ha sempre addebitato le simpatie della finanza, accuse alle quali «Matteo» ha risposto affermando che «il ruolo della politica non è sostituirsi alla finanza, perché se fai politica non fai scalate e acquisizioni, ma detti le regole».

La vera notizia, però, è che il sindaco di Firenze ha pronunciato queste parole davanti all’ex primo cittadino senese Franco Ceccuzzi, presente in sala e appena ricandidatosi alla poltrona di sindaco. «Una parte del gruppo dirigente deve andare a casa per quello che ha fatto, e questa città lo sa bene» ha urlato Renzi a un certo punto, raccogliendo l’applauso più lungo della serata, sintomo evidente del ribaltone in atto in casa Pd. Ceccuzzi, dirigente del partito ed ex deputato dell’Ulivo e del Partito Democratico, agli occhi dei renziani non è altro che un uomo di apparato, legato ai Ds e a uomini come Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, suoi sostenitori nelle precedenti campagne elettorali. E poco importa se sia stato un fiorentino a Siena a pronunciare queste parole, oppure che non ci sia stata una sola bandiera del Pd a sventolare durante tutta la serata. Il sindaco di Firenze ha fatto breccia anche nella “rossa” Siena, parlando per un’ora e mezza, tenendosi alle spalle l’affresco del “Buon Governo” di Ambrogio Lorenzetti (senese), e lodando a più riprese «Santa Caterina da Siena, patrona di un’Italia dove lavora solo il 49% delle donne tra i 20 e i 64 anni». 

Ma c’è un altro dato che può far comprendere il grado di penetrazione del “destro” Renzi, nella rossa provincia senese. A Sinalunga, patria del Presidente del Partito Democratico Rosy Bindi, «Matteo» ha raccolto il 53.6% delle preferenze, mentre «Pier Luigi» solo il 39.14%. E se durante la serata di sabato a Siena Renzi si era affrettato a chiarire che «con Bersani c’è cordialità, ci siamo scambiati sms fino a poco fa», lo stesso non è stato con “la donna non a disposizione” dell’ex Premier Silvio Berlusconi. «Non siamo qui per sostituire le nostre ambizioni ai loro fallimenti. Se perdo non faccio un partito, perché non voglio diventare come loro. Dopo aver perso le primarie, Fausto Bertinotti e Rosy Bindi hanno chiesto un posto di consolazione, ottenendolo. Io resterò nel partito a combattere per le mie idee» disse Renzi sicuro, così, di raccogliere l’ovazione dei militanti, che puntualmente arrivò. E proprio sulla “patente di sinistra” che molti, nel partito, non intendono rilasciargli, durante la serata senese «Matteo» ha speso parole di fuoco. Obiettivo Nichi Vendola, il terzo incomodo delle primarie, uscito con le ossa rotte dalla competizione. 

«Per me essere di sinistra significa premiare il merito anziché l’egualitarismo, dire basta alle nuove costruzioni, si al piano per i volumi zero, e rendere piacevole la parola futuro. Non è di sinistra prendere il governo Prodi e mandarlo a casa, come hanno fatto Vendola e Bertinotti nel 1998, oppure parlare di Berlusconi da mattino a sera e riuscire a non approvare la legge sul conflitto d’interessi. E, lasciatemelo dire, state sicuri che se vinco io D’Alema non farà il Ministro degli Esteri» disse Renzi chiudendo la serata, non prima dell’ultimo appello al voto:«Ce la faremo solo se ognuno di voi porterà a votare cinque amici a testa». Allora, come domenica prossima, conterà solo questo. Anche nella «rossa» Siena, dove «Matteo» è riuscito a battere «Pier Luigi». Finora.

Twitter: @nicoladituri

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