Articolo aggiornato in serata con i risultati degli exit poll:
Come era amapiamente previsto, vittoria dei liberdemocratici alle elezioni giapponesi. Secondo gli exit poll i Liberademocratici conquisterebbero un minimo di 275 e un massimo di 310, mentre l’alleato New Komeito da 27 a 36: insieme i due partiti potrebbero quindi superare i due terzi dei 480 seggi che compongono la Camera Bassa. Per i Democratici, saliti al potere 3 anni fa, è dura: appena 55-77 seggi contro gli oltre 310 del 2009, al punto che potrebbero essere battuti dagli ultranazionalisti accreditati di 40-61 deputati. Shinzo Abe, leader conservatore dei Liberaldemocratici, sarà quindi di nuovo premier dopo l’esperienza del 2006-07
TOKYO – Sembra quasi di essere tornati indietro di ottant’anni. La keiki, come i giapponesi concisamente chiamano la “situazione economica e degli affari”, è critica. Con la bilancia commerciale in passivo, un rampante tasso di disoccupazione e un debito pubblico colossale, già si parla di recessione. E poi la tensione, che non accenna a scendere, con il vicino da sempre ostile, la Cina.
Ora, chi con tutta probabilità uscirà vincente dalle urne oggi propone una modifica alla costituzione pacifista del Giappone postbelllico, investimenti statali massicci in infrastrutture e difesa. Sarà un estremo tentativo di sfuggire al “regime” imposto dagli Usa all’indomani dei bombardamenti atomici su Hiroshima e Nagasaki.
A poche ore dalle elezioni politiche, il Giappone è pronto a fare un passo indietro. Il partito che ha dominato la scena politica degli ultimi sessant’anni, il Partito liberal-democratico, è pronto a ritornare in sella dopo tre anni all’opposizione. Il Partito democratico, unico partito capace di interrompere il governo ininterrotto della “balena bianca” nipponica dal dopoguerra, è ormai sbriciolato.
Nel contesto della sinistra giapponese, il piccolo Partito comunista del Giappone rimane un’eccezione di rilievo. È uno dei principali partiti per numero di candidati presentati (tra circoscrizioni elettorali a seggio unico e blocchi regionali) alle prossime elezioni per la Camera bassa: 322, secondo solo al Partito liberal-democratico.
«Nella politica di oggi, serve un partito coerente». Così si legge nella pagina in cui il Pcg pubblica il proprio programma elettorale. «In risposta a quanti ci chiedevano più forza, faremo del nostro meglio per raddoppiare la nostra presenza in parlamento», così continua il comunicato, a spiegazione dello sforzo straordinario dei comunisti del Sol levante in vista delle elezioni di domenica prossima.
Uno sforzo necessario per non scomparire. Stando all’analisi dell’Asahi Shimbun, secondo quotidiano nazionale giapponese, infatti, il Pcg e il Partito social-democratico, i due soggetti più di “sinistra” nel panorama politico del Paese-arcipelago, potrebbero essere messi da parte nella competizione tra i liberal-democratici di Abe, la maggioranza uscente del Partito democratico di Noda e quel “terzo polo” in cui vengono inseriti i neonati partito per la Restaurazione del ticket nazionalista Hashimoto-Ishihara e il riformista Partito del Futuro. E il rischio è che rimangano fuori dalla Camera bassa del Parlamento, lasciando vuoti i seggi nella parte sinistra dell’emiciclo.
Nel 2009 il Pcg aveva appoggiato il “cambio di regime” che ha portato al governo il Partito democratico dello screditato primo ministro uscente Yoshihiko Noda, senza far valere il proprio network di candidati a livello locale. Con i governi democratici Hatoyama, Kan e Noda, il Pcg ha messo in campo una forma di “opposizione costruttiva”, appoggiando su alcune misure il governo del Pdg.
Ora che il re è nudo, sfiduciato dagli elettori spettatori della mancata ripresa economica del post-Fukushima, il Pcg cerca di far presa sull’elettorato dichiarando, per bocca del suo leader, Kazuo Shii, che il Pdg è stato un “fallimento” e che la politica negli stessi anni non si è affrancata dallo “stile Pld,” fatto di inciuci con la burocrazia e le lobby. L’obiettivo è ora quello di raccogliere 6,5 milioni di voti, raddoppiando il numero di seggi – nove – già ottenuti tre anni fa. «Siamo noi», ha affermato in un comizio pubblico Shii, «il vero asse d’opposizione».
Il programma del Partito comunista si articola su due temi portanti: energia e lavoro. Vero cavallo di battaglia del Pcg è l’immediata fine del nucleare – posizione in controtendenza con gli altri partiti del blocco anti-nuclearista, che promettono la fine del nucleare entro 10, 20, 30 o 40 anni – per favorire l’utilizzo delle energie alternative. E in particolare dell’eolico, che, sostiene Shii, entro il 2020 potrebbe diventare «la fonte energetica più economica, anche dei combustibili fossili» e creare proporzionalmente più posti di lavoro del nucleare.
Il lavoro, appunto. Tra tutti i soggetti politici giapponesi è naturalmente il Pcg a insistere maggiormente sul tema. Con la disoccupazione in aumento, ha sostenuto il leader del Pcg durante un recente comizio «è necessario che le grandi aziende – soprattutto del comparto tecnologico – che ora licenziano perché in crisi, restituiscano i soldi accumulati negli anni ai lavoratori e alle piccole e medie imprese» La disoccupazione, al massimo storico di 4,2 per cento, è oggi più che mai un tema sensibile per gli elettori giapponesi.
La strada però sembra essere tutta in salita. Al partito, infatti, mancano principalmente le risorse finanziarie, che dipendono dalle sottoscrizioni al quotidiano Akahata (Bandiera rossa), l’organo ufficiale del partito; fino agli anni ’80, infatti venivano stampate e distribuite circa 600 mila copie, scrive ancora lo Asahi Shimbun. Oggi la diffusione sarebbe più che dimezzata a 240 mila.
I numeri tuttavia non tengono conto della presenza del Pcg sul web: la versione online del quotidiano è consultabile gratuitamente e numerosi sono gli interventi pubblici del leader del partito Kazuo Shii postati su youtube e visionati da più di 100 mila utenti.
Inoltre, è stato rilevante l’impegno civile in zone del Paese delicate, come il Nordest colpito dal triplice disastro del marzo 2011 e a Okinawa, nell’estremo sud, dove continuano le proteste popolari contro la presenza militare americana.
«Il nostro attivismo in queste zone» ha sottolineato l’estate scorsa Shii, «ha favorito un incremento della nostra presenza nei consigli amministrativi locali» e «speriamo ora che questo si traduca in un cambio anche a livello nazionale».
Anche con i pochi mezzi economici a disposizione il Pcg ha tenuto negli ultimi 3 anni, perdendo solo un seggio su 6 alle elezioni per la Camera alta del 2010 che segnarono la prima debacle per il Partito democratico.
Tuttavia, il clima generale di sfiducia che investe la politica giapponese potrebbe riguardare anche il piccolo Partito comunista che quest’anno ha compiuto il suo 90esimo anno d’età. La concorrenza si è fatta più agguerrita. «I comunisti sono dei fossili», ha recentemente dichiarato l’ex governatore di Tokyo Shintaro Ishihara. Ottantenne politico non proprio di primo pelo che a capo del Partito per la Restaurazione, Ishihara cerca l’affermazione come terza forza politica del Paese in grado di raccogliere le preferenze dell’elettorato sfiduciato nei confronti della politica tradizionale. Proprio a danno, manco a dirlo, del Pcg.
«Ottant’anni fa» ha ribattuto però Shii, «il Pcg fu l’unico partito ad opporsi all’aggressione militare alla Cina nei giorni bui alla vigilia della seconda guerra mondiale. Anche a rischio della vita dei suoi stessi membri».
Per riconfermarsi ai livelli di tre anni fa, al Pcg non rimane che aggrapparsi alla propria storia. In particolare al suo legame con il mondo operaio, al proprio impegno civile e all’immagine pulita che gli elettori gli associano.
«Diversamente dagli altri partiti, il Partito comunista non è interessato a ricevere donazioni dai grandi gruppi industriali», aveva dichiarato un giovane elettore al quotidiano britannico The Guardian nel 2009. «Parla dei problemi della gente comune. Ed è formato da persone oneste». Ma con l’aria che tira in Giappone, non è detto che basti.