Chi si aspettava dal discorso di Napolitano lumi sugli scenari politici, non li ha avuti. Se non in due passaggi: quando il presidente ha parlato delle prossime settimane come quelle in cui si capirà quali saranno gli attori della politica che si presenteranno effettivamente al voto e quando ha detto che, a causa dello scioglimento anticipato, toccherà a lui dare l’incarico al prossimo premier e che questo incarico fotograferà il risultato delle urne e quindi renderà impossibile, per un presidenza in scadenza, dare vita a un nuovo governo tecnico. Quest’ultimo passaggio fa riferimento a tutte le discussioni attorno al Monti-bis come continuazione dell’esperienza attuale.
Napolitano ha ribadito che il prossimo governo sarà politico. E a questo punto chi vuol capire capisca. Il presidente ha usato toni anche drammatici sulla crisi economica, sulla crisi di credibilità delle istituzioni (che ha difeso e di cui ha contemporaneamente lamentato il difetto di auto-riforma), ha chiamato a un più largo impegno per l’Europa considerando già tracciata la linea del risanamento dei conti con una lunga citazione del presidente francese Hollande in cui quest’ultimo considerava linea strategica il riaggiustamento dei conti anche ai fini di una maggiore giustizia sociale.
Le parole più aspre sono state usate sull’origine della crisi attuale per la quale Napolitano ha parlato sia di brusca accelerazione sia di brusco esito. Il resoconto della fine del governo Monti ha messo sulla graticola coloro che l’hanno provocata e ancor di più quel clima pre-elettorale che ha impedito di far proseguire la legislatura fino al normale completamente. Ai partiti ha ricordato che ora è in «gioco il paese e non un fascio di voti» e ha chiesto a tutti i protagonisti di non esercitarsi in vuote promesse ma in progetti compatibili (era un riferimento al proclama berlusconiano attorno all’Imu?).
Napolitano è stato altrettanto severo attorno al mancato rifacimento della legge elettorale (atteggiamento che ha definito «imperdonabilmente grave»). Il congedo del presidente è stato orgoglioso e rammaricato. Sia pure con toni diversi sono sembrati riecheggiare i temi con cui Pertini era solito fustigare le istituzioni e la politica.
Probabilmente il presidente pensa che queste ultime settimane siano state l’occasione persa da entrambe per dare un diverso futuro all’Italia. C’è la presa d’atto di una difficoltà intrinseca della politica che dichiara di «aver colto al principio dell’autunno» e che gli aveva suggerito di lanciare appelli rimasti inascoltati. Quello di oggi avrebbe dovuto essere l’ultimo atto di un settennato laborioso e difficile, ma le cose della politica lasciano intravvedere altri possibili discorsi presidenziali e altri ammonimenti. Sperando che non restino inascoltati.