Il 1987, per l’editoria, è più di un secolo fa. Capitava che un giovane imprenditore italiano di 37 anni superasse il cancello di un castello di Oxford e si vedesse firmare su un tovagliolo, allontanato dal piatto e steso per bene sul tavolo della sala da pranzo, un contratto da 12 miliardi di lire per l’acquisto di una rotativa. A siglarlo era un gigante del settore come Robert Maxwell, editore del Daily Mirror e stampatore dell’Observer. A ripiegare minuziosamente in tasca quel tovagliolo era Giancarlo Cerutti, nato a Casale Monferrato, dal 1981 alle redini dell’omonimo gruppo, “leader mondiale” (come si dice in questi casi) per la progettazione e produzione di rotative flexo-roto per l’editoria e rotocalco per l’imballaggio. Raccontò quel particolare episodio l’allora appena nato Affari e finanza, inserto di Repubblica. A quei tempi, la carta stampata era un settore granitico e in espansione.
Venticinque anni dopo è tutt’altra epoca. Il calo di vendite di riviste e giornali è all’ordine del giorno. Forse non scompariranno, ma – è notizia di questa settimana – persino lo storico magazine americano Newsweek ha stampato la sua ultima edizione cartacea. E qualcuno allude al fatto che la prossima testata a fermare le rotative potrebbe essere il Time. La nostra è proprio un’altra epoca e si manifesta in tutta la sua difficoltà con le proteste di questi giorni dei lavoratori a Casale e a Vercelli, davanti agli stabilimenti (510 dipendenti tra le due sedi) della capogruppo Omg Cerutti (per intero, Officine meccaniche Giovanni Cerutti).
Con esuberi (170, di cui 110 indiretti e 60 diretti) confermati e con trasferimenti (130), al momento congelati. «Ai suma nen!». Non ci siamo, dicono i lavoratori. «La catu pi nen ‘na machina ‘d fer». Tradotto: nessuno vuole più acquistare una rotativa di ferro. Sì, proprio quelle rotative – macchine eccellenti apprezzate in tutto il mondo – che stampavano (o stampano ancora) Life, Der Spiegel, il National Geographic, Playboy, Paris Match, L’Espresso o Panorama. Crisi annunciata, dicono tutti. Non un fulmine a ciel sereno, ma una doccia gelata, perché arriva il 18 dicembre, a solo un mese dalla scadenza dei contratti di solidarietà a cui ricorre da ben tre anni il gruppo. Si poteva prevenire? «L’azienda – sostiene Mirko Oliaro, segretario provinciale Fiom-Cgil – pensava bastasse mantenere il quasi monopolio del mercato per sfidare la crisi del settore, invece è rimasta indietro, non è riuscita a costruire una prospettiva. E sulle decisioni pesa anche l’indebitamento con le banche, 117 milioni di euro». Per Casale (famosa per il caso Eternit), 36 mila abitanti, è uno choc, perché alla crisi Cerutti si somma quella Bistefani (in vendita a Bauli), le due aziende più prestigiose del territorio. Al tavolo della Prefettura di Alessandria, le parti si sono incontrate e per la questione Cerutti si è visto qualche spiraglio positivo (la chiusura dello stabilimento produttivo di Casale data per molto probabile non è più così certa). I sindacati hanno sospeso lo sciopero iniziato quattro giorni prima. Ma si tratta solo di un armistizio. E la questione è destinata a riaprirsi dopo l’Epifania.
La Cerutti, che qui è un’istituzione, ha una storia quasi centenaria: fu fondata nel 1920 da Giovanni, il capostipite che decise di proseguire la tradizione di famiglia nel settore delle costruzioni meccaniche, e, nel 1949, ebbe l’intuizione di puntare sulle macchine da stampa rotocalco. La prima, interamente prodotta in Piemonte, fu consegnata alla Prasa di Varsavia, che produceva tovaglie in Pvc. Nel giro di pochi anni, con l’apertura della grande fabbrica in via Marcello Adam a Casale, l’azienda si lanciò nell’editoria. E Tempo (un settimanale che veniva stampato a Milano), Famiglia Cristiana, la casa editrice Mondadori furono le prime a installare una rotativa Cerutti di grandi dimensioni. Dieci anni dopo, l’azienda aprì una fabbrica a Vercelli, e questa volta l’intuizione fu di Luigi, il figlio di Giovanni, che trasferì la tecnica del rotocalco alla stampa di materiali da imballaggio.
Col tempo, il numero dei dipendenti e il fatturato crebbero. Attualmente, il gruppo Omg Cerutti Spa conta otto stabilimenti produttivi, quattro in Italia (Casale Monferrato, Vercelli, Tavazzano e Candia Lomellina), due negli Stati Uniti (Detroit e Milwaukee), uno in Spagna (Barcellona) e uno in Cina, in joint-venture con un partner cinese. E due centri ricerche, a Vercelli e a Trivandrum (India).
Dal 1981, l’amministratore delegato del gruppo è Giancarlo Cerutti, figlio di Luigi, succeduto, nel 2009, anche alla presidenza dopo la morte della madre, Tere Cerutti Novarese. Amministratore della maggior parte delle controllate, Cerutti è presidente del gruppo Sole 24 ore e cavaliere del lavoro; è un peso massimo nel mondo industriale italiano (è stato membro del consiglio direttivo di Confindustria e vicepresidente con delega per l’internazionalizzazione), ma anche un manager che sa muoversi nella finanza. È entrato in Mediobanca, con la famiglia, nel 1987, chiamato da Enrico Cuccia, dove negli anni successivi è stato membro del consiglio di amministrazione e del consiglio di sorveglianza. Già membro del cda della Banca Commerciale Italiana e di quello di Toro Assicurazioni, conta buoni rapporti con la politica, da Fassino a Berlusconi, con cui condivide la passione sportiva, è stato infatti nel consiglio della Juventus e, per 15 anni, presidente del Casale Calcio, che portò in C1.
Rotocalco Cerutti
La proprietà di Omg Cerutti Spa è divisa tra Giancarlo Cerutti e la sorella Mariella Cerutti (autrice, tra l’altro, di raccolte di poesie, edite da Mondadori), che detengono la maggior parte delle azioni. Tra i soci anche il marito di Mariella, l’avvocato Antonio Maria Marocco, già notaio, membro del consiglio di sovrintendenza dello Ior, già consigliere di amministrazione di Unicredit (vicino al vicepresidente Fabrizio Palenzona), appena nominato presidente della fondazione Cassa di risparmio di Torino. Altri soci hanno società capogruppo in Lussemburgo, tra cui Fincer e Cergrafhold.
Tra Casale e Vercelli, Omg Cerutti conta 310 dipendenti nel primo stabilimento, 200 nel secondo. Nel primo, la casa madre, si producono macchine da rivista (il settore dei quotidiani, con La Repubblica, occupa una parte marginale sul totale delle commesse) ed è a rischio. All’interno, trova sede anche Cerutti Packaging Equipment, una newco nata nel 2011. L’azienda si trova ora in una situazione difficile: debiti e crisi di liquidità. Le condizioni di mercato prevederebbero la vendita di solo 35 macchine nel triennio 2013-2015. Numeri che, secondo la società, andrebbero a giustificare la chiusura dello stabilimento casalese. Anche i trasferimenti, ancora in sospeso, la motivano: se ai 310 dipendenti di Casale si escludono i 100 di Cerutti Packaging Equipment, ne rimangono 210, 130 dovrebbero essere trasferiti a Vercelli, ne restano 80, che potrebbero finire nel calderone esuberi. Secondo i sindacati l’azienda «ha affidato a terzi l’incarico di certificare il nuovo piano industriale al fine di trovare nuovi partner societari che possano portare risorse necessarie per risollevare il gruppo». Omg Cerutti smentisce: «Non abbiamo mai detto che la società ha contattato un advisor per la ricerca di nuovi partner. Lo stiamo cercando per confrontarci sul nostro piano industriale». Il bilancio consolidato del 2011 si è chiuso con una perdita di circa 24 milioni di euro. Durante la stesura, il consiglio d’amministrazione aveva ipotizzato due strade per poter superare la situazione critica: vendita di società e asset; conseguimento di risultati economici gestionali positivi da parte delle controllate.
La crisi del settore della carta stampata parte da lontano, lo testimoniano i dati dell’Era (Associazione europea stampatori rotocalco): nel 2007, le rotative rotocalco funzionanti erano 490, oggi 313. Le società di stampatori nel mondo sono attualmente 25 con 59 stabilimenti contro le 34 con 72 stabilimenti nel 2007. «Il problema – sottolinea la direzione del gruppo – non è di capacità competitiva, essendo unici produttori al mondo di queste macchine, ma quello di assorbimento e di contrazione di mercato. Abbiamo sofferto produttivamente, economicamente e finanziariamente e nonostante ciò l’azienda ha sostenuto con grandi sforzi la situazione, attuando la solidarietà (prima azienda del territorio) e cercando di fare soffrire il meno possibile i dipendenti. È evidente che continuare a operare con due stabilimenti a pochi chilometri uno dall’altro rappresenta un delta economico non facilmente sopportabile».