IotaSe il governo chiama la polizia in Parlamento per sgomberare l’opposizione

Se il governo chiama la polizia in Parlamento per sgomberare l’opposizione

La politica macedone riprende i lavori in questi giorni, dopo la pausa per le festività ortodosse. E lo fa in un clima di grande tensione. Tra la fine del 2012 e l’inizio del nuovo anno è salita al massimo la tensione tra la maggioranza di governo, guidata dal Partito democratico per l’unità nazionale macedone (Vmro Dpmne) di Nikola Gruevski, e l’opposizione, a capo della quale è l’Unione socialdemocratica di Macedonia (Sdsm) di Branko Crvenkovski.

Il 24 dicembre, infatti, la maggioranza ha deciso di far approvare la legge di bilancio per il 2013 con metodi non esattamente concilianti nei confronti della minoranza parlamentare. Il Vmro Dpmne, pur di far passare la disposizione, non ha esitato a richiedere l’intervento della polizia all’interno del Parlamento durante il dibattito. Le forze dell’ordine hanno sgomberato la sala, espellendo i deputati dell’opposizione e ‘silenziando’ i giornalisti presenti.

I Socialdemocratici criticano, soprattutto, le spese programmate nella legge. Il documento prevede 2,4 miliardi di euro di entrate, contro 2,7 miliardi di uscite. Troppo, secondo l’opposizione, visto che la differenza verrebbe coperta da una nuova tranche di prestiti che il governo ha stipulato con la Banca Mondiale, per la cifra complessiva di 300 milioni di euro. La somma andrebbe a finanziare, in spregio delle difficoltà economiche del Paese, principalmente le spese ‘di rappresentanza’ della maggioranza, e l’ormai ben noto progetto denominato ‘Skopje 2014’, una sorta di revival nazionalista destinato a ornare la capitale con imponenti complessi monumentali dedicati ai ‘padri della patria’ macedoni.

La maggioranza, per far tacere le lamentele, ha approvato dei cambiamenti che, però, dal punto di vista dei detrattori, sono risultati “poco più che cosmetici”. Ed è corsa in Parlamento per la votazione definitiva alla vigilia di Natale, ignorando il dovuto esame della Commissione Bilancio, previsto dalla Costituzione. L’opposizione, in tutta risposta, ha presentato circa 1200 emendamenti, volti a ridurre la spesa di circa 196 milioni di euro ma, soprattutto, a rallentare l’iter di approvazione parlamentare. Dopo l’intervento della polizia, il bilancio è stato approvato in pochi minuti.

Nel frattempo, fuori dal Parlamento, due cortei – l’uno filogovernativo, l’altro dell’opposizione – si scontravano, provocando disordini e feriti. «Il Governo ha raggiunto il punto più basso nella sua intera storia recente», ha dichiarato l’Associazione dei giornalisti di Macedonia (Znm) commentando l’accaduto. Per Nano Ružin, professore di Scienze Politiche ed ex ambasciatore presso la Nato, «Gruevski si sta ispirando ai metodi di Vladimir Putin» per accrescere il proprio potere nel Paese.

«Dal 2008», sostiene infatti Ružin, «questo governo gioca a suo piacimento con i sentimenti patriottici e nazionalisti della popolazione. Per sostenere la propria autorità non ha esitato a prendere in prestito la strategia dell’autocrate russo. Ha indebolito le associazioni e la società civile; ha chiuso i media di opposizione e ha favorito l’accentramento del potere finanziario in poche mani, a lui vicine».

L’uomo giusto al momento giusto, scriveva l’Economist di Gruevski in un’analisi a lui dedicata. Con un’educazione internazionale, esperto in economia, era il leader perfetto per traghettare la Macedonia dal comunismo al liberalismo economico. Ereditata la guida del Vmro Dpmne da Ljubčo Georgievski, pur essendo molto giovane (è nato nel 1970) è riuscito a vincere tre elezioni parlamentari di fila: nel 2006, nel 2008 e nel 2011; diventando presto una delle figure dominanti della politica macedone.
Quello che l’Economist sembra tralasciare, tuttavia, sono i metodi utilizzati da Gruevski per consolidare il proprio consenso politico. «Gruevski vuole diventare un nuovo Milošević», è la denuncia fatta dal leader dell’opposizione, Crvenkovski. Per costruire il proprio dominio, l’uomo forte di Skopje non ha esitato a far chiudere nel 2011 una delle due emittenti televisive rimaste indipendenti, la A1 di proprietà di Velija Rankovski, così come i quotidiani Vreme e Špic, appartenenti al medesimo gruppo. Attraverso i giornali filo-governativi, Gruevski ha scatenato una vera e propria campagna contro i partiti dell’opposizione e i loro esponenti, per screditarli di fronte all’elettorato. Degli incidenti in Parlamento del 24 dicembre, la popolazione non ha ricevuto dalla televisione principale (MTV1) che qualche brandello d’informazione, molto limitata.

Dal canto suo, invece, il leader è infaticabile ed onnipresente, tra comizi, cantieri e manifestazioni. Se va in televisione, rifiuta il contraddittorio: l’ultima sua apparizione televisiva insieme a esponenti dell’opposizione risale ad anni fa. Gruevski può così affermare, trionfante, che l’economia macedone “va benissimo”. Trascurando, in realtà, il fatto che la disoccupazione nel Paese è superiore al 30%, e che il debito cresce di parecchi punti percentuali all’anno (sono sette solo nell’ultimo biennio).

Per distogliere l’elettorato dai problemi reali del Paese, il Premier non ha esitato ad alimentare l’“orgoglio nazionale” macedone. Lo scorso anno il ventennale dell’indipendenza è stato celebrato in pompa magna, ma altre iniziative hanno fatto molto discutere. Come la recentissima proposta di Goranco Koteski, il generale in capo dell’esercito, di reintrodurre nel Paese la leva obbligatoria, abbandonata nel 2006. O la boutade del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Spiro Ristovski, che nell’ottobre scorso proponeva delle misure drastiche per innalzare la fertilità della popolazione macedone, ventilando addirittura l’introduzione di una “tassa sugli scapoli”.

In alcuni casi, l’afflato patriottico del Vmro Dpmne si è rivelato di una paranoia quasi comica, come nella goffa proposta di Ivo Ivanovski, Ministro della Società dell’Informazione e della Amministrazione Pubblica, volta a «ridurre l’eccessiva influenza delle serie televisive turche», colpevoli di essere troppo popolari presso la popolazione macedone, che da Istanbul patì «cinque secoli di schiavitù». Infine, la realizzazione di ‘Skopje 2014’, il già citato piano urbanistico volto a celebrare la grandezza della nazione con musei e monumenti, alcuni alti 30 metri, dedicati agli ‘uomini illustri’ di Macedonia. Un progetto faraonico, giudicato inutile dall’81% della popolazione, ma che è costato finora dagli 80 ai 500 milioni di euro, e che ha dimostrato, in più di una occasione, la sostanziale volontà da parte del Vmro Dpmne di rileggere in chiave sciovinistica la storia del Paese.

Di fronte a questo stato di cose, l’opposizione ha dichiarato la necessità della ‘disobbedienza civile’. Già da mesi i cittadini macedoni sono scesi in piazza contro il loro leader. Gli incidenti della vigilia di Natale hanno fatto scalpore, ma già il 29 ottobre più di 70.000 persone a Skopje erano scese in piazza per urlare il loro dissenso nei confronti delle autorità, in quella che è stata definita la maggiore manifestazione nella storia della Macedonia indipendente. La strategia dei Socialdemocratici, per il momento, si sintetizza in due punti: il primo, boicottare i lavori del Parlamento. Oltre a ritirarsi sull’Aventino, l’opposizione ha anche scelto di non presentarsi alle prossime elezioni amministrative, che dovrebbero avere luogo in primavera. Ma la maggior parte degli analisti ha già avvertito che questa scelta potrebbe rivelarsi controproducente, aumentando ulteriormente i margini di manovra di Gruevski.

Sul quadro, già di per sé molto complicato, gravano inoltre due silenzi, entrambi a modo loro pericolosi: quello della comunità internazionale e quello della minoranza albanese, che costituisce oggi circa il 25% della popolazione. La Comunità Internazionale, soprattutto l’Unione europea, è sembrata reagire passivamente – o non reagire affatto – al deteriorarsi della situazione politica a Skopje. Nel caso degli eventi del 24 dicembre, ciò era dovuto anche alla concomitanza delle vacanze: una circostanza forse banale, ma che ha contribuito alla passività con cui le organizzazioni internazionali presenti nel Paese hanno tardato nel denunciare l’accaduto. Più in generale, ciò è frutto anche del progressivo disimpegno della Comunità Internazionale nell’intera area balcanica. I problemi principali nell’agenda politica europea sono ben altri in questo momento, l’ex Iugoslavia non è più una priorità assoluta, e non è un caso che proprio ora la politica nell’intera regione si stia radicalizzando, in Macedonia così come in Bosnia Erzegovina, o in Serbia.

Infine, c’è da considerare l’impatto che questa situazione avrà nella tensione latente tra macedoni e albanesi, più di un decennio dopo la fine della guerra civile e degli accordi di Ohrid che congelarono gli equilibri tra le due etnie. Gli albanesi di Macedonia, comprensibilmente, non hanno reagito bene ad anni di battage sciovinista di Skopje. Negli scorsi mesi gli scontri etnici si sono fatti sempre più numerosi. Non si teme un ritorno al conflitto su larga scala, tuttavia l’aumento delle violenze desta molta preoccupazione. Non c’è da stupirsi. La crisi del Paese rinfocola i due nazionalismi opposti. «Le divisioni etniche», ammonisce il filosofo Artan Sadiku, «si stanno riattivando. Tutti i partiti macedoni cercano di presentare questi antagonismi etnici come un fenomeno ‘naturale’. Per questo motivo, gli incidenti degli ultimi tempi non sono certo dei casi isolati. In realtà, se pensiamo aquanto fatto dal governo, ci dovremmo stupire che in fondo non siano stati più frequenti».

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