Sostiene Bersani che, al netto di pensioni e interessi sul debito, la spesa pubblica italiana è più bassa di quella di altri paesi. Sul piano fattuale, l’affermazione è incontrovertibile. Il vero punto, però, sta nel rovescio della medaglia: per pensioni e interessi, siamo i primi in classifica.
L’insegnamento da trarne è semplice: chiunque abbia a cuore le altre voci di spesa (nuovo welfare, politiche industriali, investimenti produttivi) dovrebbe avere un’unica ossessione, quella di aggredire le due voci che assorbono così tanto. Come si concilia questa ossessione con la proposta del Pd di risolvere il nodo esodati semplicemente allargando i cordoni della spesa, piuttosto che distinguendo caso per caso in base ai rendimenti delle pensioni promesse e individuando politiche attive per il reinserimento? E visto che la transizione verso l’equilibrio del sistema pensionistico è ancora lenta, perché non pensare a un contributo di equità che recuperi subito risorse da chi riceve pensioni sopra una certa soglia non giustificate dai contributi versati? Sul debito, invece, manca ancora una strategia chiara di dismissioni o una proposta di patrimoniale straordinaria che abbia gettiti non simbolici e non venga subito destinata ad altre spese elettoralistiche.
Insomma: meglio un passerotto in mano (aggredire i nodi di pensioni e interessi attraverso proposte credibili) che un tacchino sul tetto (promettere politiche industriali e di welfare che non sappiamo come pagare).