Mentre un razzo su Damasco uccide un funzionario Ue che stava fornendo aiuto umanitario alla comunità di Deraya, sobborgo della capitale, le autorità del Qatar avrebbero smesso di armare i ribelli siriani su pressioni degli Stati Uniti. A sua volta l’Arabia Saudita sta sponsorizzando la via yemenita come soluzione alla crisi in Siria. Sono queste le novità più importanti avvenute in ambito diplomatico nelle scorse settimane, dopo che a Roma si sono riuniti i paesi del gruppo “Amici della Siria”.
Lo rivela una fonte dell’opposizione siriana al sito informativo Al Arab online: il governo di Doha avrebbe informato il leader della Coalizione nazionale siriana dell’opposizione, lo sceicco Moaz al Khatib, che l’invio di armi quatariote si fermerà a partire dagli inizi di marzo. E lo stop arriverà anche sui soldi utilizzati per pagare gli stipendi dei dirigenti del gruppo e degli ufficiali dell’Esercito siriano libero.
Ci sarebbe questo dietro la decisione dell’opposizione siriana di tagliare improvvisamente i rapporti con il Qatar. Un cambio di linea non privo di conseguenze. La prima, una guerra interna alla stessa opposizione siriana, testimoniata dal rinvio del vertice di Istanbul. In questa occasione, infatti, sarebbe stato nominato il governo transitorio siriano, chiamato a gestire le aree siriane in mano ai ribelli.
Secondo il sito arabo è questa la vicenda che ha spinto nelle scorse settimane Khatib a spingersi verso la sua prima proposta di dialogo con il regime di Bashar al Assad, che ha scatenato forti malumori tra i suoi colleghi della coalizione.
Fonti diplomatiche a Londra spiegano che a causare il cambio di atteggiamento del Qatar sarebbero state le minacce ricevute dall’amministrazione americana. Gli Usa avrebbero accusato Doha di aiutare, tra gli altri, anche gruppi inseriti nella lista delle formazioni terroristiche, come il Fronte di Salvezza, gruppo legato ad al Qaeda, che avrebbe usufruito dell’invio di soldi dal Qatar per comprare armi.
Ci sarebbero inoltre documenti che provano i legami tra Doha ed il gruppo di al Qaeda che lo scorso settembre ha eseguito l’attacco al consolato Usa di Bengasi, nel quale è morto l’ambasciatore Chris Stevens. I documenti
riguardano i rapporti tra Doha e Abdel Hakim Belhaj, l’ex jihadista divenuto
capo del Consiglio militare di Tripoli durante la rivoluzione contro Muammar
Gheddafi, considerato, nonostante le sue smentite, uno dei punti di
riferimento di al Qaeda nel nord Africa.
Gli americani avrebbero minacciato il Qatar di prendere provvedimenti durise avessero ignorato le loro richieste. Una delle commissioni del Congresso, intanto, sta raccogliendo informazioni a riguardo.
Non è la prima volta che gli Usa esprimono contrarietà al ruolo svolto dal Qatar nella regione, in particolare dopo l’attentato al consolato di Bengasi. Da settimane inoltre l’amministrazione di Washington ha esercitato forti pressioni su Doha per fermare il flusso di danaro e di armi verso i gruppi jihadisti in Siria.
Gli Usa vorrebbero piuttosto rafforzare le formazioni dell’Esercito libero, considerate moderate. Iltimore è che gli islamici possano avere la meglio sugli altri gruppi. Ma dietro la posizione degli Stati Uniti c’è anche il tentativo di arrivare a un dialogo con il regime di Damasco.
Secondo gli americani il sostegno del Qatar e della Turchia alle formazioni armate salafita avrebbe solo danneggiato la rivoluzione, alienandole l’appoggio della comunità internazionale.
Secondo gli osservatori arabi, in questa nuova fase della rivoluzione
siriana cambieranno gli attori regionali. Gli Stati Uniti stanno cercando di
mettere fuori gioco il Qatar per risollevare invece il ruolo della Turchia.
Si ritiene inoltre che possa essere l’Arabia Saudita il nuovo attore che
scenderà in campo in questa partita. Riad potrebbe essere utile per arrivare
ad un accordo tra ribelli e regime siriano, giocando un ruolo simile a
quello avuto in Yemen. Fu li che ottenne lo scorso anno un accordo tra i rivoluzionari dell’opposizione e il presidente Ali Abdullah Saleh, per una transizione di potere che pose fine allo scontro iniziato nel suo paese con la primavera araba.
I sauditi hanno da tempo proposto agli americani e ai russi come soluzione quella della formazione di un governo transitorio in Siria, che abbia ampi poteri tra cui quelli dell’attuale capo di stato, paventando l’ipotesi di
trovare una soluzione simile a quella raggiunta in Yemen.
L’idea è quella di trovare una personalità di ampio respiro all’interno del regime stesso che possa guidare la fase di transizione. Un gerarca che abbia un ruolo simile all’attuale capo di stato yemenita, l’ex numero due si Saleh, Abde Rabbo Mansur Hadi, purché non sia legato a fatti di sangue e non sia
responsabile delle recenti stragi avvenute in Siria.
Una figura di questo tipo potrebbe essere il vice presidente siriano, Faruq al Sharaa, entrato in una fase di isolamento dopo lo scoppio della rivoluzione siriana, e al quale si è rivolto di recente proprio il leader della Coalizione nazionale siriana, Moaz al Khatib. Nelle scorse settimane lo aveva chiamato in causa come controparte con la quale avviare un dialogo tra
opposizione e regime.
La soluzione verrebbe sponsorizzata anche dai paesi membri del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg). Proprio ieri hanno invitato tutte le parti in Siria a mettere in atto una trattativa tra l’opposizione siriana e gli esponenti del regime «che non si sono sporcati le mani con il sangue per un rapido passaggio dei poteri in Siria».
Intanto Riad è già sceso in campo per prendere il posto di Doha. Proprio oggi il ministro degli Esteri saudita, Saud al Faysal, ha chiesto che si impedisca il rifornimento di armi al regime siriano di Assad. Parlando nel corso di una conferenza stampa con il suo omologo americano,John Kerry, in visita a Riad, Faysal ha spiegato che «il nostro paese sostiene il diritto del popolo siriano all’autodifesa, non potremo fermare l’invio di aiuti medici e umanitari ai siriani».
A proposito di una possibile trattativa tra ribelli e regime di Damasco, il capo della diplomazia saudita ha affermato che «Assad ha comunque perso qualsiasi ruolo in questa vicenda e il suo regime non ha più il controllo del paese». Confermando quindi che l’unica soluzione sembra essere quella di una trattativa con altri esponenti del suo regime.