Il soprannome dice tutto: il documento intitolato “Growth and Opportunity Project”, un inno vitale che dovrebbe aprire nuove vie per la crescita, è stato ribattezzato “l’autopsia”, analisi del corpo morto di un partito repubblicano che dalla sconfitta elettorale di novembre sta tentando di resistere passivamente alla marcescenza. Le cento pagine scritte da un gruppo di strateghi e analisti repubblicani per conto del Republican National Commitee (Rnc) sono il primo tentativo sistematico di resuscitare il paziente ucciso non tanto dai colpi di Barack Obama – o da quelli, autoinflitti, di Mitt Romney – ma dalla sua stessa incapacità di sintonizzarsi con l’elettorato americano. I dati fondamentali, impietosamente elencati all’inizio del documento, dicono che i repubblicani hanno perso la sfida del voto popolare in cinque delle ultime sei elezioni, perfetto rovesciamento del trend riportato fra il 1968 il 1988. Hanno perso la maggioranza in stati saldamente conservatori, non hanno saputo attrarre le minoranze, sono stati irrisi dall’elettorato femminile, si sono persi per strada i giovani, non hanno capito linguaggio e meccanismi della rete.
Come ha scritto da sinistra l’intellettuale Sam Tanenhaus, il Grand Old Party è rimasto ancorato all’elettorato bianco e tendenzialmente anziano mentre l’America affronta una rivoluzione demografica e culturale che favorisce naturalmente i democratici. In un simposio pubblicato dalla rivista conservatrice Commentary, gli analisti Michael Gerson e Peter Wehner hanno scritto che “non è una sorpresa se le politiche dei repubblicani sembrano stagnanti; sono pressoché identiche a quelle che il partito offriva trent’anni fa. E’ un po’ come se Reagan avesse proposto una piattaforma tagliata sulle condizioni dell’era di Truman”. Ad aggravare la diagnosi del Rnc c’è il contrasto con le performance del partito a livello locale: “Quella del partito repubblicano è la storia di due partiti. Uno, quello dei governatori, cresce e ha successo. L’altro, quello federale, sta diventando marginale e senza una metamorfosi sarà sempre più difficile per i repubblicani vincere un’elezione presidenziale nel prossimo futuro”.
I critici del documento dicono che questo dato è preso fuori dal contesto e non significa poi molto, ma è ugualmente significativo che una commissione ufficiale lo usi come premessa alla pars costruens, che poi è anche la parte più originale dell’analisi. Cosa deve fare il partito per tornare a essere rilevante? Tre cose, in sostanza: silenziare, o più semplicemente abbandonare, le battaglie su aborto, matrimoni gay e fine vita; approvare una riforma sull’immigrazione per scrollarsi di dosso l’immagine del partito arrabbiato con il fucile e il cappello da cowboy; imparare a usare seriamente il Web come strumento di comunicazione politica. Le tre prescrizioni hanno scatenato l’ennesima guerra civile fra i conservatori: che cosa rimane del conservatorismo senza i valori tradizionali che il comitato centrale del partito consiglia di buttare a mare? Bombardare di tweet gli operai dell’Ohio salverà il partito? Non a caso commentatori come Ross Douthat, columnist conservatore del New York Times, o Ramesh Ponnuru della National Review, hanno bollato il documento come il sottoprodotto di un élite washingtoniana che è più sconnessa dalla propria base elettorale di quanto il partito non lo sia dal paese reale.
L’autopsia dice che per risorgere il partito repubblicano deve imitare i democratici, negoziare sui principi, uscire dal solco tradizionale, guardare i sondaggi d’opinione e proporre una piattaforma politica basata esclusivamente sui calcoli. I giovani non votano a destra? Diamo loro il matrimonio gay. Gli ispanici si fidano di Obama? Diamo loro la cittadinanza, magari con un progetto di legge firmato da un senatore di origini cubane e votato in modo bipartisan, e così via. Il “Growth and Opportunity Project” dice, insomma, che il partito delle idee deve lasciare spazio al partito dei compromessi, dei numeri e degli algoritmi. E i numeri vanno selezionati con cura: il sondaggio Abc secondo cui il 58 per cento degli americani è favorevole al matrimonio gay è – non si capisce bene secondo quale logica – un dato più importante del fatto che nel 2004 il 44 per cento dei latinos ha votato George W. Bush.
Leo Longanesi diceva che non bisogna appoggiarsi troppo ai principi perché poi si piegano. Il documento del Rnc certifica l’avvenuta flessione e prescrive le manovre per raddrizzarli: cambiare, espandersi, uscire dall’ortodossia tradizionale, ammorbidire la linea su immigrazione e aborto, svecchiare, ripensare le proprie convinzioni, abbandonare i vecchi serbatoi di idee che non fanno vincere le elezioni, sotterrare la vocazione minoritaria, sfidare i democratici sul loro terreno. E trovare il modo più efficace per comunicare tutte queste cose. Karl Rove, l’architetto delle vittorie elettorali di Bush dato per morto dopo la sconfitta di Romney – ma lui è uno stratega per tutte le stagioni – si sta attrezzando, in accordo con il partito, per colmare il “digital gap” dei repubblicani con una piattaforma per raccogliere dati e fissare i target elettorali che potrà essere usata dai candidati e dai gruppi di pressione nel 2016. Il modello è l’operazione “Narvalo” guidata dell’ingegnere hipster Harper Reed per conto di Barack Obama, la più ambiziosa distillatrice digitale di voti mai creata. Il problema è che Reed ha 34 anni, un paio di baffi incerati, la cresta, gli occhiali da nerd e nella vita fa l’ingegnere informatico; Rove ne ha 62 e quando ha iniziato a lavorare alla prima campagna elettorale alla Casa Bianca c’era Nixon. Il primo dibattito televisivo fra candidati risaliva a pochi anni prima.
I giovani del partito, gente come Ted Cruz, senatore sostenuto da associazioni e think tank che diffidano dell’establishment, guardano in cagnesco il tentativo di Rove, promettono battaglia per definire il futuro del conservatorismo e nutrono sospetti verso un sedicente cambiamento di rotta che ha tutta l’aria di una rabberciata operazione in cui si abbandonano idee troppo complicate da sostenere (quelle etiche e sociali) mentre tutto il resto rimane uguale, soltanto un po’ più digitale.