È il rifornimento di armi la chiave di volta che potrebbe risolvere una volta per tutte la crisi siriana, e decretare l vittoria di uno o dell’altro attore in campo. Se da mesi la Coalizione nazionale siriana di Moaz al Khatib si batte per ottenere armi dall’occidente è perché da questo dipende la possibilità o meno di avere la meglio sul regime di Bashar al Assad.
Ne è convinto il portavoce dei Comitati di coordinamento rivoluzionari di Duma, città a pochi chilometri da Damasco, Abdullah al Shami, intervistato da Linkiesta, che spiega qual è la reale situazione di questa guerra che va avanti da due anni senza trovare una soluzione.
Al Shami ha un passato come studente di ingegneria in una città del nord Italia, è stato anche attivo all’interno della comunità islamica italiana, fondando alcuni siti internet islamici, ma due anni fa, dopo le prime rivolte a Deraa, ha sentito il dovere di partire per la Siria tornando a Damasco e unendosi subito ai ribelli. Ora dal suo bunker a Duma parla tramite il satellite ogni giorno con al Jazeera, per informare il mondo su quello che è l’avamposto più avanzato dei rivoluzionari verso Damasco, la cui presa potrebbe portare al collasso del regime.
«Mi trovo da alcuni mesi a Duma, a soli 20 chilometri da Damasco, che è sotto il totale controllo dei ribelli e dove si combatte una dura guerra con le truppe del regime», spiega al Shami. «Oltre a combattere mi occupo di comunicazione e amministrazione dei Comitati di coordinamento locali della rivoluzione. Non abbiamo né telefono né elettricità ma riesco a comunicare con il mondo tramite un generatore e un apparato satellitare attraverso il quale aggiorno la pagina Facebook dei Comitati di coordinamento di Duma. Siamo stati il primo gruppo rivoluzionario ad aprire una pagina sul socialnetwork quando è iniziata la guerra in Siria».
Quello che preme di più al giovane rivoluzionario e a tutti i ribelli siriani in questo momento è denunciare la mancanza di armi per combattere questa guerra. «È da due anni che cerchiamo la giustizia nella nostra terra e combattiamo per questo la nostra battaglia – ha spiegato il ribelle siriano – Sin dall’inizio della rivoluzione sentivamo sempre i paesi stranieri che dicevano di volerci aiutare, ma in pochi lo hanno fatto concretamente. Sentiamo spesso parlare sui media dell’invio di aiuti ai ribelli da parte di alcuni paesi, ma le cose non stanno esattamente come vengono descritte sui giornali e finora abbiamo difficoltà a trovare sostegno tanto che non riusciamo a coinvolgere i paesi stranieri o dei grandi gruppi nemmeno tramite i nostri siti internet o le nostre pagine su Facebook».
Secondo al Shami «a parte piccoli aiuti dall’estero la maggior parte delle armi che abbiamo noi a Duma sono quelle rubate dai depositi dell’esercito siriano o comprate nel mercato nero a caro prezzo. Il mancato invio di armi ai ribelli, ha dato vita ad un florido mercato nero. Ora in Siria si comprano armi con grossa facilità, ma pagandole anche 10 volte il prezzo normale. In alcuni casi riusciamo anche a comprare armi dai funzionari corrotti del regime di Assad. Questa guerra ha spinto il commercio internazionale di armi e i contrabbandieri a puntare sul nostro paese».
Ai miliziani delle varie brigate dell’Esercito siriano libero servono «soprattutto le armi pesanti che non abbiamo. Ci servono assolutamente missili anti-carro e armi per la contraerea. Alcuni paesi stranieri ci forniscono solo di mitra o altre armi utili alla guerriglia ma niente di più». Il giovane rivoluzionario siriano non crede che gli uomini del Fronte di Salvezza (Jibha al Nusra), formazione considerata la cellula di al Qaeda in Siria, possano avere la meglio sulle altre formazioni della guerriglia siriana. «In questo momento i loro uomini non si trovano a Duma dove ci sono altre formazioni – ha spiegato al Shami – loro si trovano soprattutto nel nord, lungo il confine con l’Iraq. I loro gruppi sono attivi ma non hanno tanti uomini come si crede».
Il ribelle siriano è convinto che senza rifornimento di armi la caduta del regime di Assad sia ancora lontana. «Il problema vero è che mentre noi non abbiamo un sostegno vero da parte della comunità internazionale – aggiunge – Assad continua ad avere armi e aiuti dai soliti paesi. Anzi, col passare dei mesi si sta allargando il numero di paesi che in un modo o in un altro ha scelto di sostenerlo perché teme che possa restare in sella».
«Sarà difficile per noi farlo cadere se Assad continua a ricevere armi non solo dall’Iran, ma anche dalla Russia in modo diretto e palese. Addirittura alcune armi e alcuni sistemi di intelligence che vengono usati contro di noi arrivano dall’Occidente. Per non parlare di quello che stanno facendo i governi dei paesi confinanti con la Siria, e in particolare di Libano, Giordania e Iraq, che consentono l’arrivo a Damasco di ogni tipo di aiuto e rifornimento, mentre per noi ribelli non è permesso da quei paesi, e in particolare dalla Giordania, nemmeno far entrare del cibo a causa dei controlli alla frontiera».
Nonostante questo al Shami si dice fiducioso che «la rivoluzione, seppur lentamente, sta compiendo dei passi in avanti. I ribelli nonostante tutto piano piano controllano sempre più villaggi e credo che comunque il regime non riuscirà mai più ad avere il totale controllo del paese dopo quello che è successo in questi due anni».
Il ribelle si dice completamente indifferente al problema, posto più volte dai politici occidentali, del pericolo che dopo la caduta di Assad Damasco possa essere governata da un regime di tipo islamico. «Perché per voi occidentali è più importante sapere chi andrà al governo dopo Assad piuttosto che fermare la guerra e il bagno di sangue in corso?», ha concluso.
«Per noi la priorità in questo momento è vincere la guerra e fermare le violenze. Poi vedremo con che tipo di governo andare avanti. Certamente non credo che quello dei Fratelli Musulmani al potere anche in Siria sia un pericolo. Certamente le influenze esterne sono tante in questo momento. Se il regime ha fatto arrivare tanti miliziani iraniani e libanesi di Hezbollah anche tra i ribelli ci sono molti combattenti stranieri ma alla fine vinceranno i siriani».