Mai un pensiero spettinato, tre cognomi, aristocratico, ambasciatore in America, capelli scuri malgrado i sessantasei anni, capelli dunque tinti, vanitoso, rigido nelle movenze, una moglie e una fidanzata, una casa da due milioni di dollari a New York, vita sgargiante e una sfolgorante carriera diplomatica favorita dalle amicizie nella destra di Gianfranco Fini.
Giulio Maria Terzi di Sant’Agata è tutte queste cose, ma è soprattutto un uomo molto ambizioso la cui corsa verso le stelle si è tuttavia fermata sulla battigia del Ministero degli Esteri, perché da quando è diventato il capo della diplomazia italiana, il marchese nato a Brembate di Sopra, provincia di Bergamo, non ne ha più azzeccata una. Così oggi, nei corridoi della Farnesina, mentre gli sguardi dei diplomatici si fanno torbidi e le bocche si deformano in una smorfia di fastidio, il ministro è noto per un appellativo senza appello: «Il peggiore di sempre». Ha sbagliato tutto, ogni mossa, fin dall’inizio della sua carriera di ministro e fino al disastro dei Marò. Al suo arrivo nel governo tecnico, favorito dal protettore Fini, Terzi cercò di modificare i termini della sua pensione diplomatica, di allungarne i tempi, provocando così imbarazzo e sconcerto nell’ambiente.
Non si è mai mosso con quella grazia cauta, prudente, quell’intelligenza rapida e tagliente che dovrebbe essere la natura stessa del lavoro diplomatico. Al contrario, tanto curato nell’aspetto esteriore quanto goffo nell’azione, Terzi ha sgraziatamente zampettato da un pastrocchio all’altro: tra allusioni, pavidi silenzi e collusioni, ha pure gestito con fare corrivo lo scandalo di Mario Vattani, il console fascista dislocato a Tokyo e figlio prediletto (e protetto) del potente ex segretario generale del Ministero degli Esteri suo amico. Su ogni ostacolo che ha incontrato, Terzi è andato a sbattere per maldestra furbizia. Ogni inghippo, ogni ombra, ogni mezzo scandalo, ogni sgrammaticatura sono stati il terreno limaccioso sul quale ha trascinato fino ad ora la sua breve e trascurabile carriera di ministro degli Esteri. Avanti così, fino a che la commedia dell’inadeguatezza e della vanità non ha però assunto i caratteri della tragedia nazionale: fino alla storia miserabile dei Marò, quella per cui Terzi sarà ricordato assieme al ministro della difesa Giampaolo Di Paola (un ammiraglio!): la vicenda che ha sporcato l’etica militare, che è antica scuola di democrazia, il groviglio di furberia truffalda che ha umiliato l’onore della diplomazia italiana.
Un episodio in due atti. Primo: darsela a gambe con fare sbruffone. Secondo: arrendersi senza condizioni alla prima minaccia. Rovinato dunque dalla sua ambizione e dalla sua natura leggera, così aristocraticamente fatua. A settembre dell’anno scorso Terzi si è fatto intervistare e ritrarre nella sua dimora avita di Brembate, un ampio servizio fotografico pubblicato da Sette, il settimanale del Corriere della Sera. Terzi si presentava al pubblico come in certi servizi di “Chi”, il settimanale Mondadori diretto da Alfonso Signorini: quelle carrellate di foto in cui si confeziona e si costruisce un personaggio, come fosse un prodotto da mettere sul mercato. In questo caso il mercato era elettorale, perché Terzi già immaginava per sé una carriera politica, ma la confezione del prodotto presentava tuttavia una patina grossolana, quasi grottesca: la posa, i capelli. Ed ecco dunque le immagini del casale e del suo inquilino: lui che sorride, gli occhialetti, il golfino, la scala, lui di fronte alla magnifica libreria (ovviamente stracolma di libri intonsi).
Negli ultimi quattro mesi Terzi ha tentato in ogni modo di essere candidato in Parlamento da Mario Monti, poi dal suo amico Gianfranco Fini, e infine persino dal Pdl che contro Monti e il suo governo di cui Terzi fa parte ha costruito tutta la campagna elettorale: è infatti durante un pranzo al circolo della caccia che Silvio Berlusconi ha negato a Terzi, un posto in lista e anche la candidatura a sindaco di Bergamo. Così tra chi lo conosce, e non lo ama, circola un sospetto tremendo, inconfessabile, ovvero che lui abbia pasticciato per mesi, e giocato a fare il duro con la vicenda tragica dei due Marò per inseguire le luci della ribalta, per conquistare visibilità e trasformarsi – senza tuttavia riuscirci nemmeno stavolta – da tecnico in politico. E d’altra parte è vero che a un certo punto, in questa ultima e pazzotica campagna elettorale, gli ambienti della destra con i quali Terzi ha sempre trafficato si erano avvicinati e avevano pensato seriamente di candidare al Parlamento anche i due marò. L’ambizione del “peggiore di sempre”, dunque. Bassa cucina elettorale sulla pelle di due soldati e sull’onore del corpo diplomatico.