L’incontro tra il premier incaricato Enrico Letta e il segretario Pdl Angelino Alfano viene organizzato all’ora di cena, a Montecitorio. È il vertice decisivo prima della nascita del nuovo governo, al netto dei contatti telefonici che proseguiranno per tutta la notte. E a tavola c’è anche lo zio di Enrico, Gianni Letta. Si verificano ministri e ministeri. Si confrontano le liste di candidati selezionati dai rispettivi schieramenti. Il faccia a faccia segue una lunga giornata di riunioni. Se Letta ha passato la mattinata tra Quirinale e Palazzo Chigi, lo stato maggiore del Popolo della Libertà ha incontrato per diverse ore il Cavaliere – tornato stamattina dagli Usa – nella residenza romana di Palazzo Grazioli.
In serata nessuno ha troppa voglia di parlare, ma l’intesa di massima potrebbe essere vicina. È facile ipotizzare che nel corso della nottata salteranno alcuni nomi, altri saranno inseriti all’ultimo. Quasi certo che il filo diretto con il Cavaliere proseguirà fino a tardi. Se non ci saranno colpi di scena, domattina Enrico Letta tornerà al Colle, stavolta per sciogliere la riserva. Il giuramento dell’esecutivo, invece, potrebbe avvenire già nel pomeriggio.
È la grande spartizione. Tra Partito Democratico, Popolo della Libertà e Scelta Civica. E pure per le correnti, tra falchi del pidielle, giovani turchi del Pd, renziani, montiani vicini al centrosinistra. Letta è un amante del calcio. Sarà un caso ma in queste ore così intense circolano appunto schemi che nemmeno Jose Mourinho potrebbe mettere in campo. Dal 7-7-4 a 8-6-4, non sono altro che gli uomini su cui potranno contare i democratici, i pidiellini e i montiani.
Quindi si ragiona sulla squadra di governo. I candidati più accreditati si schermiscono, negano qualsiasi indiscrezione. Se un nome inizia a girare troppo è facile che venga bruciato, anche se c’è chi dice che sia già tutto pronto. Persino i sottosegretari, i capi di gabinetto e i direttori generali. Ma il timore è che Beppe Grillo possa incominciare il fuoco di fila e attaccare. Al momento sembra confermata la composizione mista dell’esecutivo. In parte politici, in parte tecnici. Sei-sette ministeri per Pd e Pdl, qualcuno in meno per i montiani di Scelta Civica. Il significato è evidente: berlusconiani e democrat avranno (quasi) pari rappresentanza al governo.
Già, ma come si calcola la pari rappresentanza? Durante la giornata sembra che il Cavaliere si sia impuntato più volte. Non solo Berlusconi chiede che non vengano posti veti sui propri candidati. Ma rivendica per il Pdl alcuni dei ministeri chiave. Dopotutto chi ha più da perdere nella partecipazione a questo esecutivo – sondaggi alla mano – è proprio il centrodestra.
Tante le caselle da occupare. Le poltrone dei sottosegretari serviranno per compensazioni e bilanciamenti. Eppure Letta non ha alcuna intenzione di distribuire incarichi di governo affidandosi al solo manuale Cencelli: i ministri che lo affiancheranno dovranno essere capaci e rodati. In grado di gestire fin da subito i compiti assegnati, ma anche sufficientemente esperti per portare avanti il lavoro nel corso di un arco di tempo mediamente lungo. Almeno due o tre anni.
Tra le poche certezze c’è l’assenza di Mario Monti. Il premier uscente sconta i forti veti soprattutto del Pdl. Due le possibili conferme del governo tecnico: Anna Maria Cancellieri per gli Interni (in concorrenza nelle ultime ore con Renato Schifani) e Paola Severino alla Giustizia. In realtà il dicastero di Largo Arenula è uno dei nodi da sciogliere. Si fa insistente il nome di Michele Vietti, vicepresidente del Csm, ex Udc. Ma potrebbe spuntarla anche un esponente di centrosinistra, gradito ai berlusconiani, un garantista di peso di area Pd. Magari l’ex parlamentare Luciano Violante oppure persino Anna Finocchiaro.
Complessa anche la trattativa che porta all’Economia. Nel pomeriggio Silvio Berlusconi si sarebbe impuntato, contrario ad affidare l’incarico a un tecnico (il direttore generale della Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni e il vicedirettore Ocse Piercarlo Padoan sono i nomi più chiacchierati). Si studia una soluzione. Per dare maggior caratura politica al Tesoro, potrebbero essere nominati viceministri Renato Brunetta e Stefano Fassina. In alternativa, sottosegretari “pesanti”.
Quasi fatta la presenza dei sue “saggi” Mario Mauro e Gaetano Quagliariello, in quota Scelta Civica e Pdl. Alla Cultura sembra ormai certa Ilaria Borletti Buitoni. Mentre al ministro per lo Sviluppo Economico, dove ora c’è Corrado Passera, avanza la candidatura di Bruno Ermolli, rimasto senza un posto dopo la rivoluzione in Fondazione Cariplo. Si discute fino all’ultimo per la presenza di Massimo D’Alema al ministero degli Esteri.
Spazio anche per Matteo Orfini, che potrebbe spuntarla come sottosegretario. Dovrebbero farcela pure i due di area centrosinistra, renziani, Sergio Chiamparino e Graziano Delrio. Così come Dario Franceschini che spinge per essere inserito nell’esecutivo. Spazio per Maurizio Lupi, mentre alla Difesa non dovrebbe andare Renato Schifani, ma un «generale» sullo stile di Giampaolo Di Paola.
Intanto il Parlamento si prepara per i voti di fiducia. Lunedì pomeriggio era in programma alla Camera l’esame del Def. La conferenza dei capigruppo ha spostato l’appuntamento alla settimana successiva. In calendario restano generiche «comunicazioni del presidente. Può essere l’occasione utile per consentire al governo di Letta di presentarsi a Montecitorio.