Il 10 aprile Barack Obama presenterà la sua proposta di bilancio per il 2014. La Casa Bianca arriva all’appuntamento con un paio di mesi di ritardo rispetto alla tabella di marcia per via dei laceranti dibattiti su «sequester», «fiscal cliff», «shutdown» e altri neologismi che specificano l’incertezza del budget americano.
I partiti litigano su questioni politicamente infiammabili come i tagli alla spesa pubblica e l’innalzamento delle tasse per gli americani più ricchi – ricette opposte per uscire dalla depressione – ma l’essenza dello scontro economico si riassume in un caso da manuale: la guerra dello zucchero.
La disputa sui sussidi statali per gli zuccherifici americani contiene tutti gli elementi di uno scontro che va all’origine dell’identità americana, costruita sull’equilibrio fra libertà individuale, mercato e intervento dello stato nell’economia.
L’antica polemica è tornata in superficie quando il prezzo dello zucchero si è abbassato raggiungendo quota 21 centesimi alla libbra e il dipartimento dell’agricoltura, in tutta risposta, ha lasciato intendere di voler acquistare 400 mila tonnellate di zucchero per sostenere i prezzi ed evitare il fallimento dei produttori messi alla prova dalla flessione del mercato.
Gli zuccherifici hanno ricevuto lo scorso anno finanziamenti pubblici per 862 milioni di dollari, ma il meccanismo dei sussidi non è sufficiente a tenere in piedi le aziende se il prezzo della merce è troppo basso. A quel punto interviene nuovamente lo Stato, comprando grandi quantità di zucchero per far risalire il prezzo; la merce acquistata viene poi rivenduta sottocosto ai produttori di etanolo (che ricevono sgravi fiscali se usano lo zucchero nel processo di produzione), con una perdita di circa 80 milioni di dollari dei contribuenti.
Sintesi: con una mano lo stato distribuisce sussidi alle aziende, con l’altra controlla i prezzi acquistando merce che va a ingrossare altri programmi controllati dal settore pubblico. Non sorprende che questo meccanismo di foraggiamento statale diminuisca la competitività degli zuccherifici americani rispetto ai competitor globali.
Negli ultimi quattro anni il prezzo dello zucchero americano è oscillato fra il 62 e il 92 per cento in più rispetto alla media mondiale e secondo uno studio di John Beghin e Amani Elobeid, ricercatori dell’Università dell’Iowa, il programma di zuccherosi incentivi dello stato costa ai contribuenti americani 3,5 miliardi di dollari l’anno.
Senza contare che il meccanismo del controllo dei prezzi tende a favorire i grandi zuccherifici e le multinazionali che producono dolciumi, mentre i piccoli produttori vengono spazzati via al primo calo del mercato. La grande macchina dello zucchero è protetta dall’American sugar alliance, la lobby che fa pressione sul Congresso con un paio di milioni di dollari l’anno perché non metta le mani su una legge che deprime la competizione e pesa sui contribuenti.
Nel tempo una stratificazione di leggi e leggine ha consolidato il meccanismo. Il Congresso, specialista nel mantenere lo status quo, in 75 anni non ha mai modificato il testo, ma qualche settimana fa una coalizione bipartisan si è svegliata quando il picco negativo del prezzo ha riportato alla luce la logica perversa di questo sussidio a catena.
La senatrice democratica Jeanne Shaheen ha presentato una proposta per emendare una legge che risale al 1934: «Ci sono enormi oscillazioni nel mercato dello zucchero perché il programma di finanziamenti è datato e avvantaggia ingiustamente un piccolo gruppo di produttori ricchi. I contribuenti non devono pagare per scelte assurde, e dobbiamo sistemare questa legge una volta per tutte».
Diversi senatori repubblicani, tra i quali John McCain, si sono accodati all’appello di Shaheen, e il consenso bipartisan la dice lunga: se per i repubblicani riformare in senso mercatista una legge che dà allo stato il controllo assoluto sui prezzi di un bene è questione di ortodossia economica, per i democratici è un fatto di giustizia sociale, perché nella guerra dello zucchero i primi sconfitti sono i piccoli produttori spazzati via dalle multinazionali.
Certo, il mercato dello zucchero non sposta cifre che cambiano radicalmente il budget degli Stati Uniti, ma i sussidi statali che pesano sulla middle class americana in cerca di un nuovo inizio sono nascosti in tutti i settori del mercato. Nel codice americano ci sono migliaia di finanziamenti e agevolazioni che invece di stimolare l’economia la deprimono.
Alcuni, come quelli dello zucchero, sono fossili dell’era del New deal: per uscire dalla grande depressione Roosevelt ha creato un apparato che si è consolidato nel tempo, perché i sussidi creano dipendenza. Anche Obama deve portare il paese fuori dalla depressione e l’Obamanomics, fatta di stimoli e bailout, ha dato finora risultati incerti.
Gli insegnamenti della guerra dello zucchero possono aiutare il presidente a rendere meno amara la discussione sul bilancio.