C’è una catena di ristoranti italiani che sta facendo il giro del mondo: si chiama Vapiano ed è divenuta una sorta di ambasciatrice della cucina dello Stivale in 30 Paesi ai quattro angoli del pianeta, dalla Germania agli Stati Uniti, dall’Arabia Saudita alla Corea del Sud. Ha ricette tipiche della Penisola, ambientazioni con ulivi e giardini delle erbe, menu scritti in italiano. Ma è tedesca.
Non è che il caso più in vista in questo momento di una tendenza molto più grande: l’esplosione di insegne di ristorazione ispirata al Belpaese sviluppate da aziende straniere. Sfruttano gli spazi lasciati vuoti da noi, storicamente incapaci di organizzarci e di creare ristoranti in serie e ancor meno capaci di esportarli all’estero.
Vapiano è stata fondata quattro signori: Gregor Gerlach, Kent Hahne, Klaus Rader e Mark Korzilius. Non avevano alcun particolare legame con l’Italia, ma tre di loro avevano una certa esperienza del business della ristorazione, essendo stati gestori di alcuni McDonald’s in franchising. Il ragionamento è stato semplice: per quanto la cucina italiana fosse rinomata in Germania, non c’erano nel mercato grandi catene di ristorazione, ma solo una miriade di singoli ristoranti e pizzerie di emigrati italiani. Nel 2002 viene aperto il primo locale, ad Amburgo: la pasta fresca fatta in un laboratorio collegato al ristorante, l’uso della tecnologia avanzato e gli ambienti progettati dall’altoatesino Matteo Thun contribuiscono all’affermazione, i capitali di un fondo di investimento all’espansione. Oggi sono più di 120 i ristoranti, tra quelli di proprietà diretta e quelli in franchising, e il piano di espansione ne prevede180 entro il 2014. Una quindicina di aperture sono già in programma entro la fine dell’anno, soprattutto in Medio Oriente e Asia. Anche fuori dalla Germania, infatti, gli spazi di crescita potenziali sono enormi. Peccato che ad approfittarne per ora siano stati solo aziende straniere, con marchi rigorosamente italiani.
L’interno del ristorante Vapiano di Potsdamer Platz, a Berlino
La Tagliatella è un altro caso esemplare: è una catena che si definisce specializzata in «gastronomia italiana di alta classe delle regioni Liguria, Reggio Emilia e Piemonte» e, a parte una conoscenza della geografia approssimativa, ha le idee chiare. Per anni è stata di proprietà del gruppo Restauravia, il quale ha fatto in tempo ad aprire oltre cento locali in Spagna. Dal 2011 è entrata nell’orbita della polacca AmRest, una società che gestisce 650 fast-food dei marchi internazionali più noti in giro per l’Europa centrale e orientale e che ha dichiarato la volontà di portare La Tagliatella nel mondo. In totale, per ora, le location sono 152: negli Stati Uniti ad aprile è stato inaugurato il terzo ristorante, cinque sono i locali in Francia, tre in Germania e due in Cina, a Shanghai.
Nel Regno Unito a sorprendere sono le caffetterie: i 400 punti vendita Caffè Nero si rappresentano come dei bar italiani, tanto che le pareti sono tappezzate di foto in bianco e nero dell’Italia di provincia. Ma a ideare il business fu il londinese Gerry Ford, che rimase folgorato guardando i baristi di Roma. Il colosso Costa Group, 1.400 caffetterie nel mondo, fu invece fondato dai fratelli Sergio e Bruno Costa, che poi vendettero il marchio alla multinazionale Whitbread.
L’interno di un locale Caffé Nero
Prezzo e Carluccio’s sono storie simili, ma nel Regno Unito. Prezzo viene fondata nel 2000 e da allora ha collezionato 160 ristoranti, dai menu abbordabili, come suggerisce il nome. Quotata all’Alternative Investment Market (AIM) di Londra, ha le ricette curate dallo chef Aldo Zilli. Per il resto nel board e nel consiglio direttivo non c’è traccia di nomi italiani. All’origine di Carluccio’s c’è invece Antonio Carluccio, originario di Vietri sul Mare, Salerno, e arrivato a Londra nel 1975 dopo vari passaggi tra Piemonte e Germania. Carluccio è stato una sorta di cuoco star ante-litteram, con programmi alla Bbc e una dozzina di libri. I locali che portano il suo nome sono circa 70, di fascia medio-alta. La proprietà dal 2010 (dopo un tentativo di suicidio dello stesso Carluccio a seguito di un esaurimento nervoso) è comunque passata al Landmark Group di Dubai.
Come Carluccio’s in Gran Bretagna, Francesca-Cucina Familiale (con la elle) si è sviluppata in Francia: oggi sono poco più di 80 i ristoranti della catena sviluppata dalla coppia Francesca Arbogast-Albanese e Bertrand Arbogast, che inaugurarono il primo nel 1997 a Strasburgo.
In Francia una catena non si è limitata a creare delle repliche di ristoranti italiani, ma ha voluto creare un concetto di fast-food. Nel 2002 amici d’infanzia, Emmanuel Guth e Denis Sutter, aprono il primo Mezzo di Pasta, a Strasburgo. È un piccolo locale, che riproduce con la pasta quello che Subway fa con i panini. I clienti scelgono il tipo di pasta secca che preferiscono; una volta cotta, aggiungono il sugo preferito. Il tutto viene messo in un cartone e mangiato a un tavolo o per strada. Un’immagine che farà forse ribrezzo alla maggior parte degli italiani, ma che non ha impedito un’espansione notevole: oggi ci sono 132 locali, tra Francia e altri otto Paesi, dal Messico al Libano.
Ragazzi mangiano dai cartoni di Mezzo di Pasta
Se poi si guarda agli Stati Uniti, la patria delle catene di ristorazione, si perde il contodelle insegne italiane (spesso fondate da italoamericani) e dei punti di ristoro. Sbarro, la catena di pizza al trancio e cucina italiana, ha più di mille locali ed è stata fondata 50 anni fa da Carmela “Mama” Sbarro (morta lo scorso anno) con il marito Gennaro. Tra i ristoranti “casual dining” italianeggianti, Olive Garden ha ben 800 locali, ispirati nello stile a una fattoria di Castellina in Chianti. Carabba’s Italian Grill ne conta 230 e altrettanti ne hanno Romano’s Macaroni Grill e Fazoli’s, Seguono Buca di Beppo, Uno Chicago Grill, con più di cento locali ciascuno, e decine se non centinaia di insegne minori.
Uno degli astri nascenti è Piada Italian Street Food, catena fondata da tale Chris Doody, dall’Ohio, che dopo un salto a Rimini ha capito che la piadina (descritta agli americani come una sorta di burrito) poteva sfondare nel mercato americano. Se si contano anche le pizze, basti solo accennare agli 11mila Pizza Hut e i 9.700 Domino’s Pizza sparsi per il mondo, oltre alla britannica Pizza Express e alla spagnola Telepizza.
Giganti che non sono ancora entrati in Italia, dove invece si è inserita Villa Pizza, marchio statunitense che ha colonizzato i centri commerciali, soprattutto in Sicilia. Rumor nel settore della ristorazione commerciale danno per prossima addirittura un’apertura in Italia anche di Vapiano. Intanto, è arrivata una catena di gelaterie francese, Amorino, con tre dei suoi 80 punti vendita tra Milano e Verona.
Ma cosa aspettano le insegne di ristorazione realmente italiane a occupare gli spazi all’estero? In realtà qualcosa si sta muovendo, anche se su numeri piccoli. Rana e Barilla hanno cominciato quest’anno ad aprire ristoranti e stabilimenti negli Usa, mentre altre catene più strutturate si sono organizzate da più tempo. Tra i più attivi ci sono Rossopomodoro (gruppo Sebeto), soprattutto in Gran Bretagna e Stati Uniti, Fratelli La Bufala (gruppo M6), nel Regno Unito, le gelaterie Grom, in Giappone, Lino’s Coffee Shop, soprattutto in Medio Oriente. Gli unici marchi già molto sviluppati all’estero sono Illy, con 200 Espressamente Illy in 34 Paesi, e Lavazza. In questo caso ci sono le insegne Espression, in forte espansione tra Usa, Cina, Brasile e Nord Europa, Barista (in India) e Caffè di Roma (in Spagna, dove si è sviluppata prima di essere acquistata da Lavazza). Ma secondo esperti del settore il rischio è che questi operatori si siano mossi troppo tardi e che gli spazi di espansione per il cibo italiano siano già stati occupati, almeno nei mercati più interessanti.