Il Cairo – L’attuale generazione di leader dei Fratelli musulmani, cresciuti in politica negli anni Settanta e Ottanta, sa benissimo come affrontare la prigione e la repressione di regime. Dall’ex presidente, Mohammed Morsi, al Segretario del partito Libertà e giustizia, Mohammed Beltagi, i dirigenti del movimento hanno passato anni della loro vita entrando e uscendo dalle prigioni egiziane.
Per questo sanno gestire con facilità le fasi critiche in cui da eroi si trasformano in vittime. Stavolta dietro l’angolo c’è il timore dello scioglimento di Libertà e giustizia. Si crede che possa venire messa al bando, nella nuova Costituzione, la presenza di partiti con riferimenti religiosi: un provvedimento che impedirebbe la futura partecipazione politica del movimento. Per questo motivo è sempre più necessario il negoziato con i militari. La situazione, in generale, pone gli islamisti di fronte al consueto dilemma sul ruolo politico della confraternita.
La Costituzione voluta dagli islamisti e approvata nel dicembre scorso, per la prima volta nella storia egiziana, non ha escluso la formazione di partiti politici che facessero riferimento alla religione come ideologia politica. Sono nate così decine di sigle salafite vicine agli islamisti moderati, insieme al principale partito islamista Horriya wa Adala (Libertà e Giustizia), braccio politico della confraternita dei Fratelli musulmani.
Negli anni Settanta, i Fratelli musulmani hanno abbandonato il radicalismo per incarnare un approccio riformista alla partecipazione politica. E così, i leader del movimento hanno rigettato i discorsi estremisti di Sayyd Qutb e di altri leader radicali: iniziava ad emergere l’idea che la confraternita dovesse essere un movimento (haraka), estraneo a qualsiasi forma di violenza, distinguendo in maniera netta il divieto a costituirsi in partito politico dalla giustificazione di azioni sovversive. Fin dalla fine degli anni Settanta, hanno assunto il ruolo di mediatori tra stato e gruppi salafiti, anche armati. Non meraviglia però che siano stati abbandonati da questi: hanno appoggiato il colpo di stato del 3 luglio scorso, puntando sul via libera alla partecipazione alle prossime elezioni.
Il fondatore della confraternita Hassan al Banna definiva la politica «corrotta, sporca e divisa». Tuttavia, una parziale partecipazione, fino al gennaio 2011, ha permesso al movimento di allargare la sua influenza sulla società egiziana e di limitare i danni di momentanee ondate repressive. Già negli anni Novanta appariva chiaro che l’integrazione nelle istituzioni egiziane avrebbe potuto minare la capacità di mobilitazione politica. I benefici della partecipazione sembravano difficili da valutare, e nello stesso tempo sono arrivavate anche le prime richieste di normalizzazione di una parte dei Fratelli musulmani. Dal 1996, infine, il tentativo di costituzione del partito Wasat (centro).
L’esperimento di Wasat ha tentato di superare il peso politico di decenni di clandestinità del movimento islamista e di riequilibrare i rapporti tra stato e società civile. La wasatiyya (i centristi) richiedeva un’organizzazione meno piramidale che desse potere alle autonomie locali in considerazione delle diversità delle organizzazioni islamiche di base e collegate al movimento.
E ora? Da tre settimane, proseguono le contestazioni dei Fratelli musulmani contro la detenzione di Morsi. Ma continuano ad essere pacifiche perché solo la non violenza garantisce l’esistenza del movimento. La capacità di mobilitazione degli islamisti egiziana resta straordinaria, come dimostrano le scene di preghiera e partecipazione alle porte della moschea Rabaa el-Adaweya nel quartiere Medinat Nassr. Con un messaggio su Twitter la Guida suprema del movimento, Mohammed Badie, arrestato e poi rilasciato bei giorni scorsi, ha assicurato che, rompere il digiuno del Ramadan non è un peccato, considerando lo stato di mobilitazione della Fratellanza.
Non solo ideologia, la confraternita conta sul sostegno di banche e del sistema della finanza islamica. Questo ha permesso dagli anni Settanta il trasferimento di ingenti somme derivate dagli introiti della vendita del petrolio dall’Arabia Saudita alle élite religiose dei paesi arabi, favorendo la costituzione di varie banche islamiche che hanno finanziato organizzazioni umanitarie.
La Banca islamica Faysal, creata nel 1977, diretta da un principe saudita, figlio del re Faysal e sostenuta dall’establishment religioso egiziano, è un esempio di questo processo finanziario. Non stupisce quindi se una volta al potere, i Fratelli musulmani abbiano insistito su politiche di liberalizzazione e privatizzazione economica. D’altra parte già da tempo ontrollano le associazioni sindacali professionali: ingegneri, avvocati, medici, farmacisti e professori dell’Università del Cairo. Dagli anni Novanta godono di una vicinanza ideologica con il centro dell’Islam sunnita, la moschea di Al Azhar e si sono sempre espressi per l’indipendenza dell’istituzione dal potere politico. Nonostante ciò, l’imam Ahmed Tayeb ha deciso di sedere al tavolo negoziale con le opposizioni dopo la destituzione di Morsi.
Infine, i Fratelli musulmani, attraverso la rivista al-Dawa, hanno spiegato per anni al grande pubblico le tendenze sociali, politiche, economiche del movimento. Il giornale ha ospitato gli annunci pubblicitari di influenti famiglie della borghesia imprenditoriale e sostenitori della confraternita: immobiliaristi, proprietari di industrie chimiche, banche, società d’investimento e industrie alimentari. Mentre ikhwaonline.com – in arabo e in inglese – è diventato il portale di riferimento della Fratellanza.
Dopo le rivolte del 25 gennaio 2011, e in particolare in seguito ai successi elettorali del partito islamista Libertà e Giustizia e della galassia di movimenti salafiti, la stampa vicina alla Fratellanza ha conosciuto un boom senza precedenti. Ma con il colpo di stato del 3 luglio scorso, sono state oscurate 14 reti televisive, in particolare le emittenti Misr 25, fondata dopo le rivolte del gennaio 2011; due emittenti salafite molto popolari: al-Nas (la gente) e al-Hafez (il guardiano); sono stati chiusi gli uffici cairoti della televisione satellitare al-Rahma, quelli della televisione giordana Yarmouk, del quotidiano Al-Quds al-Arabi; e gli uffici della televisione del Qatar Al Jazeera.
I Fratelli musulmani sono cresciuti all’interno del regime di Mubarak grazie ad un’ideologia politica moderata e non violenta. Hanno costruito un impero finanziario e mediatico considerevole, ma si sono mostrati immaturi in merito alla partecipazione politica. In queste ore si sta definendo lo spazio degli islamisti alle prossime elezioni, nonostante la retorica della leadership, i Fratelli musulmani non hanno intenzione di morire con Morsi.