Quel tesoretto sprecato delle Camere di commercio

Inutili i finanziamenti a pioggia

Centocinque Camere di commercio, una Unione italiana, diciannove Unioni regionali, sedici società di sistema, sessantasei Camere arbitrali, e poco più di 7mila dipendenti a tempo indeterminato. Un sistema camerale che ha un conto in banca di circa 1,3 miliardi di euro. Sommando i depositi postali e un po’ di cassa si arriva per l’esattezza a 1.384.958.418 euro di liquidità. Una bella somma che di questi tempi farebbe comodo alle aziende azioniste. I dati non proprio aggiornatissimi si evincono dalla relazione depositata dall’Istat quest’anno e relativa al bilancio consuntivo al 31 dicembre 2011 (clicca qui per leggere i conti nel dettaglio).

Nel 2007 la cifra era di circa 609 milioni di euro. Ed è andata crescendo. Evidentemente la riforma del sistema avvenuta nel 2010, sotto l’egida dell’allora ministro allo sviluppo economico Claudio Scajola, deve aver fatto bene ai bilanci. Con il DL 23 (pubblicato in gazzetta il 25 febbraio del 2010) è stata infatti, dopo 16 anni, approvata la riforma dell’ordinamento. Obiettivo, già presente nella legge del 1993, rendere più moderne e efficienti le camere e aprirle al sistema globale.

La legge del 2010

Innanzitutto le generiche attribuzioni previste nel 1993 sono diventate due anni fa “compiti e funzioni”, ampliandone la portata con l’aggiunta del riferimento alle “economie locali” oltre al supporto e promozione degli interessi generali delle imprese, in un’ottica allargata e integrata, come lo sviluppo e la competitività dei territori. «Si tratta», recitava una nota ufficiale di allora, «di funzioni assegnate dalla normativa alle Camere di Commercio, che opera una significativa trasformazione di quelle che fino ad oggi sono state attività in vere e proprie competenze riconosciute per legge». In sostanza, più rappresentatività nei consigli, più autonomia funzionale, ma da inserire in una logica nazionale in grado di far superare i localismi.

Divieto di nuove Ccia con meno di 40mila imprese iscritte. Gestione regionalizzata di alcune attività (internazionalizzazione, osservatori dell’economia, forniture di beni e servizi) e di altre in sede nazionale (ad esempio l’amministrazione del personale). E la possibilità di interrompere la gestione mista pubblico-privata di alcune Fiere, tasto dolente per qualche amministrazione locale. Molto si è fatto. Ma l’ennesima ipotesi di riforma delle Province lasciata nei cassetti ha finito col troncare a metà pure la ristrutturazione del sistema camerale. Lo scorso anno il governo Monti provò a portare avanti la semplificazione con l’appoggio concreto di alcune associazioni del sistema: ridurre il numero delle camere e prevedere per i servizi alle aziende che vanno all’estero una sola regia e un solo coordinamento. Come avviene in Germania.

Il fondo di perequazione, previsto anche nel DL del 2010, viene a tutt’oggi utilizzato regolarmente per colmare i bilanci di quelle circa 40 associazioni che chiudono con valori negativi. Nell’ottica del precedente ministro Corrado Passera, quei soldi sarebbero serviti per la regia unica. Invece l’internazionalizzazione, di cui tutti i politici e amministratori parlano nei talk show, a oggi viene ancora gestita, in numerosi casi, dai singoli distretti. E i fondi per le diverse promozioni vengono destinati sul territorio senza che una provincia si parli con l’altra. Diversamente non può essere perché ciascuna delle 105 associazioni risponde del proprio bilancio.

Fondi al territorio e l’assalto del localismo

A giugno, solo per fare un esempio tra tanti in giro per l’Italia, il Mattino di Padova ha rendicontato centesimo per centesimo gli euro destinati alla promozione dalla locale Camera di Commercio. «Nel 2012», scrive il quotidiano, «l’erogazione complessiva ammonta a 8 milioni 434mila 550 euro e 65 cent. I sindacati dell’agricoltura, dell’industria e del commercio calamitano 2 milioni 429mila 193 euro e 64 cent senza contabilizzare il capitolo fidi». In testa, il sistema Confindustria. Poi Cna, Ascom. Ma anche i piccoli finanziamenti e alle scuole e al Comune. Circa 8.500 euro al gabinetto del sindaco Flavio Zanonato (adesso ministro dello Sviluppo economico) per le celebrazioni natalizie. Altri fondi all’assessorato dello sport. Infine hanno beneficiato una lunga serie di fiere locali. Pochi spicci. «Con 45 mila euro alla Provincia la Ccia sostiene i Sapori d’autunno e di primavera», conclude il quotidiano. «Al Palio dei dieci Comuni di Montagnana ne arrivano altri 10 mila. La Fiera dei mussi a Trebaselghe ne merita 2 mila, mentre il El biologico in piassa 2.500 e Bisi&Bisi a Baone altri 2 mila». Certo alle imprese servirà anche questo. Ma, forse, visto che i contributi versati sebbene di poco salgono ogni anno, i piccoli imprenditori si chiedono se non sia il caso di rivedere il sistema a pioggia.

Il tesoretto e gli intrecci politici

La liquidità detenuta in banca potrebbe servire, se messa a leva, a fare da incubatore per rilanciare determinate tecnologie. Creare nuovi tipi di distretti o essere utilizzata per una vera internazionalizzazione. Altro esempio. A giugno del 2012 Panorama segnalava in vista dell’elezione del nuovo presidente della Camera di Commercio di Roma (carica poi andata a Giancarlo Cremonesi) un tesoretto da circa 120 milioni di euro e si chiedeva. «Qual è l’origine di questa parsimonia così in contrasto con le vecchie abitudini?» Risposta: «Tutto si spiega con la rottura dell’accordo informale stipulato fra le due grandi aree politiche della città al momento dell’elezione di Cremonesi. A metà mandato, così era stabilito, il suo posto sarebbe andato al direttore della Cna, Lorenzo Tagliavanti (uomo di sinistra, vicino a Mondello). Ma questo avveniva nel 2010. Ora l’idea della staffetta non è più considerata attuale dal presidente, convinto che nel frattempo gran parte della base associativa prima favorevole a Tagliavanti si sia spostata dalla sua parte». Insomma per Panorama la cifra accantonata dall’associazione, se non avesse vinto Cremonesi, sarebbe servita a «tenere in serbo il forziere per il giorno della vittoria del candidato sindaco del Pd Nicola Zingaretti nel 2013, data ormai per scontata». Un’ipotesi suggestiva e anche folcloristica che non è confermata da Linkiesta, ma che comunque apre la porta ad alcune osservazioni di fondo.

Un altro piccolo esempio. Un dettaglio. Che a volta rende l’insieme. Un imprenditore extra Ue che viene in Italia per lavoro a fine anno può chiedere il rimborso Iva. Lo fa attraverso le Camere di Commercio (che a onor del vero sono sempre più ingolfate di incarichi). Deve depositare la documentazione cartacea e mediamente se ne ha diritto attende ben più di un anno e mezzo. In Francia lo stesso imprenditore aspetta 90 giorni. Le imprese, soprattutto quelle italiane, non hanno bisogno di incentivi (posto che arrivino veramente) ma di e-strumenti. E le Camere con parte di quei soldi in banca potrebbero cominciare a spendere per il rinnovamento telematico. Su scala nazionale.

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