Serve solidarietà in Europa contro la peste della crisi

Scelto per voi dal blog di Gustavo Piga

Che ne dite di questo grafico su un periodo di 25 anni? Sì, avete ragione, riguarda l’Italia. Sì avete ragione, riguarda indici di produzione. Parla di crisi economica.

Lo ho trovato all’interno di un lavoro molto interessante di un professore della Bocconi, Guido Alfani. Eppure no. Non racconta la crisi italiana di questo ultimo quarto di secolo. Ma di un altro tempo, tra il 1620 ed il 1645, misurando la produzione di lana e tessuti di lino a Venezia e Firenze negli anni di quella che fu, secondo Alfani, una disastrosa e pervasiva diffusione della peste nelle città e campagne italiane.

Così tanto devastante da lasciare una traccia permanente sulla competitività dell’industria italiana, che per lungo tempo non ha saputo più recuperare il ritardo dalle altre nazioni. Le due epidemie che colpirono l’Italia nel XVII secolo secondo Alfani furono caratterizzate da tassi di mortalità molto alti se paragonati a quelli del secolo anteriore o a quelli di altri paesi europei: «se una tipica epidemia inglese ebbe tassi di mortalità tra i 100-120 per mille, in Italia era comunemente di 300-400, con picchi di 500-600 per mille». Poche le eccezioni, come Biella, protetta dalle Alpi da un lato e dalle colline Serra dall’altro.

Vi raccomando di leggere il lavoro per il suo valore storico e i tanti dati che sono in esso contenuti. Vi scrivo questo blog per fare una similitudine. Alfani stesso al termine del suo lavoro non resiste a farne un’altra, ben più rigorosa della mia, quando chiude dicendo: «questo lavoro sulle epidemie del XVII secolo ha molto da insegnare anche a tutti coloro che studiano periodi antecedenti». E io invece non ho potuto resistere, leggendo il suo lavoro, a ritrovare in alcuni passaggi una lezione per il suo futuro, per l’oggi europeo. La peste: una similitudine, una metafora dell’attuale recessione e stato di crisi politica? Una peste quella attuale? Chissà forse sì. In fondo, a prendere un qualunque sito su citazioni tratte dal meraviglioso romanzo di Camus, La Peste, una qualsiasi di queste si attaglia perfettamente alla situazione attuale del nostro continente, senza tema di esagerazione. Quale scegliereste ad esempio tra queste per descrivere i dilemmi che attanagliano la felice Germania e la disperata Grecia, accomunate dal fatto di far parte della stessa «città»?

Il n’y a pas de honte à préférer le bonheur.

La bêtise insiste toujours.

Une manière commode de faire la connaissance d’une ville est de chercher comment on y travaille, comment on y aime et comment on y meurt.

On croit difficilement aux fléaux lorsqu’ils vous tombent sur la tête.

On se fatigue de la pitié quand la pitié est inutile.

Le mal qui est dans le monde vient presque toujours de l’ignorance, et la bonne volonté peut faire autant de dégâts que la méchanceté, si elle n’est pas éclairée.

Rien n’est moins spectaculaire qu’un fléau et, par leur durée même, les grands malheurs sont monotones.

L’habitude du désespoir est pire que le désespoir lui-même.

Il peut y avoir de la honte à être heureux tout seul.

Le bien public est fait du bonheur de chacun.

Il s’agissait seulement de donner pendant quelque temps les preuves de sa compétence dans les questions délicates que posait l’administration de notre cité.

Ma mi e vi distraggo. Torniamo ad Alfani. E citiamolo, anche a lui. Citiamolo pensando alla sua Europa, ed alla nostra Europa, quella di oggi.

«… (noi) mostriamo come, mentre l’Europa del XVII secolo in generale era pressoché liberata dalla peste, l’epidemia colpì diverse parti del Continente in modi molto diversi. Il sud fu più colpito del nord, e l’Italia conobbe le pesti più violente dalla Peste Nera. La variabile chiave non risulta essere il tasso di mortalità, visto che mortalità da epidemia avvenne in molte parti d’Europa, ma la capacità della peste di infettare pervasivamente un’area vasta, villaggi e borghi così come città

E ancora:

«La popolazione colpita fu incapace di riprendersi rapidamente, e l’effetto dell’epidemia non fu una semplice perturbazione di breve periodo, ma un danno di lungo periodo in termini di livelli di prodotto totale e di capacità fiscale del Paese. Questo articolo formulerà l’ipotesi che la gravità eccezionale dell’epidemia che colpì l’Italia durante il XVII secolo, non tale nel resto d’Europa, va considerato come uno dei fattori principali nel declino relativo che sperimentarono gli stati italiani in quel periodo».

La pervasività delle due epidemie del XVII secolo, che toccarono le campagne come le città a distanza di pochi anni l’una dall’altra (come le due recessioni consecutive di questi anni?), impedì il tipico meccanismo riequilibratore delle epidemia urbane: l’influsso rurale. Un ostacolo drammatico alla ripresa. Era l’Italia «meritevole» di una simile epidemia a causa delle sue condizioni arretrate di partenza, fossero esse economiche o istituzionali? No, afferma Alfani: «le istituzioni anti-epidemia durante il periodo moderno erano le migliori nel continente» e così la sua ricchezza. Insomma, una vera peste à la Camus, «cadutaci in testa». Che avrebbe meritato solidarietà?

Al contrario di altre pesti, questa del XVII secolo secondo Alfani fu una «epidemia dei giovani». Che colpì ricchi e poveri, anche questo fattore poco comune, con gravi implicazioni di ritardo di accumulazione nel paese di capitale umano.Il declino economico italiano di allora non fu dunque causa di declino demografico. Piuttosto, la peste fu causa subitanea, esogena e con effetti duraturi del declino economico del Paese.

Da un punto di vista macroeconomico,

«il drastico declino nella popolazione favorì il declino di potere e di influenza internazionale dell’Italia», seppur già avviato nei decenni precedenti. Fu nel XVII secolo che i nostri stati persero la loro residua «capacità di autonomia militare, sempre più a sua volta dipendente dalla capacità fiscale dello Stato. Le pandemie, riducendo il prodotto totale, ridussero drasticamente anche la possibilità per gli stati italiani di competere nelle battaglie di potere europee… E la perdita di potere militare e diplomatico non fu senza conseguenze per le condizioni del commercio internazionale»

non traendo vantaggio dalla crescita di questo.

Più dell’aumento dei salari reali dovuti alla scarsità di offerta di lavoro (una interpretazione sposata anche dallo storico economico Cipolla) Alfani suggerisce come l’impatto vero del ritardo secolare che acquisì l’Italia rispetto agli paesi europei a causa della pandemia fu dovuto a due fattori: il crollo della domanda interna e del livello di capitale umano.

«Nell’epoca del mercantilismo, la (scarsa, NdR) domanda aggregata interna può avere avuto un’importanza chiave nell’impedire alla proudzione manifattueirra italiana di raggiungere il volume di prodotto necessario a competere eficacemnte all’estero… La peste colpì l’Italia nel momento peggiore: le economie italiane furono forzate a rallentare mentre altre acceleravano».

E ancora: «tassi di mortalità del 300-500 per cento non avrebbero potuto essere raggiunti senza che l’epidemia fosse un killer universale», causando una mancanza di abilità a causa della mortalità tra i giovani.

2013, Italia, Europa.

La storia delle pesti europee del Seicento ha una differenza con quella di oggi che mi colpisce più di altre. Le barriere naturali che protessero Biella ed altre città, sono all’interno della costruzione della fortezza europea. Non sono barriere naturali, sono barriere di solidarietà alla base dell’antico progetto europeo. Abbiamo costruito questa fortezza per combattere le pesti insieme. Molti dei miei lettori, specie i più giovani, non vedono questa virtuosa fortezza europea, ma solo un impero del Male. Criticano il mio ottimismo, tacciandolo al meglio di ingenuità.

Beh, io sono cresciuto sui libri di Camus. E sono figlio di una generazione a cui devo tanto, specie avermi risparmiato da pesti e guerre. Costruendo la fortezza. Sposo questa citazione di Camus: «il y a dans les hommes plus de choses à admirer que de choses à mépriser», «vi sono negli uomini più cose da ammirare che cose da disprezzare». Come Camus nella Peste, una resistenza che vinca i ratti è alla nostra portata. Non è facile, ma è nella nostra natura. Ecco perché credo che alla fine vinceremo la peste.

*Originariamente pubblicato sul blog di Gustavo Piga con il titolo «La peste europea di questo secolo»

X