Meglio la redditività che la Spa. Il progetto di trasformazione in società per azioni della Popolare di Milano, spinto dal presidente Andrea Bonomi e in principio sostenuto dalla Banca d’Italia, è ormai accantonato. Non si tratta né di una vittoria dei sindacati, né di una sconfitta di Bonomi, numero uno del fondo Investindustrial, principale azionista all’8,6% di Piazza Meda. La decelerazione dipende dalla realpolitik di via Nazionale, consapevole che forzare la situazione minacciando il commissariamento non sarebbe utile al Paese, dopo lo scoppio del bubbone Mps e visti i conti promettenti del primo semestre dell’istituto lombardo.
Bpm ha festeggiato poche settimane fa il ritorno all’utile per 105,6 milioni di euro (-131,3 milioni al 30 giugno 2012) la crescita dei ricavi a 866 milioni (+11,6%) e le commissioni nette a 278 milioni (+16,3%), mentre scende la raccolta diretta retail a 37,8 miliardi (-1,8%) e gli impieghi a 34 miliardi (-2,2%). Anche dalle parti di Piazza Meda, come per tutti gli istituti italiani, la qualità del credito peggiora: i crediti dubbi si assestano a 4,8 miliardi (+14% su dicembre 2012), con le sofferenze lorde in salita di 279 milioni in sei mesi e un tasso di copertura al 63,5 per cento. Il rimborso dei 500 milioni di Tremonti bond ha pesato non poco sul patrimonio netto, sceso a 3,5 miliardi (-10,5% sul 2012).
«Con la Spa e l’obiettivo di remunerare il capitale iscrivere a bilancio un miliardo di euro di sofferenze sarebbe uno scherzo», confida un top manager dell’istituto a Linkiesta. E dunque l’unica riforma sembra sarà all’interno del consiglio di sorveglianza, con la probabile riduzione del numero dei consiglieri a 13 e con l’aumento del peso dei soci di capitale rispetto ai dipendenti-soci, attualmente in maggioranza, secondo quanto richiesto nel verbale ispettivo di inizio luglio. Intanto, proseguono in questi giorni gli incontri tra Bonomi e i sindacati.
Per quanto, formalmente, Bankitalia spinga ancora per la Spa, ufficiosamente ha messo in soffitta la moral suasion. Tant’è che il passaggio delle Considerazioni finali di Ignazio Visco riferito proprio alla Bpm, in cui il governatore ha spiegato che il modello mutualistico
«può risultare oggi inadeguato per intermediari di grande dimensione, operanti a livello nazionale o anche internazionale, quotati in borsa, partecipati da investitori istituzionali rappresentativi di una moltitudine di piccoli risparmiatori che hanno finalità e interessi diversi da quelli cooperativi»,
a quanto risulta a Linkiesta, non è stato approvato dall’Area vigilanza bancaria e finanziaria di Palazzo Koch. Da Bankitalia fanno sapere che, pur non costituendo un atto amministrativo, il tradizionale discorso del governatore è negoziato preliminarmente in un processo in cui la dialettica ci può essere. Tuttavia, la posizione del regolatore sulla riforma della governance delle grandi popolari non è esclusiva di Visco, ma era già stata promossa da Mario Draghi e Annamaria Tarantola (oggi presidente Rai).
Tranne i rappresentanti degli “ex Amici della Bpm e dei pensionati”, le sigle sindacali sono concordi nel garantire maggiore peso all’interno del consiglio di sorveglianza dei soci di capitale – modifica che comunque deve passare per il disco verde dell’assemblea – ed è opinione diffusa all’interno del consiglio di gestione che ormai non vi siano più i tempi tecnici per strutturare il passaggio a Spa. Entro fine ottobre, infatti, l’istituto presenterà l’aggiornamento al piano industriale prodromico all’aumento di capitale da 500 milioni di euro funzionale a mantenere i ratio patrimoniali dopo aver ripagato i Tremonti Bond sottoscritti nel 2009.
Assodato che un atto di forza della vigilanza non porterebbe automaticamente risultati sicuri e incontrovertibili in termini di efficienza nell’allocazione del capitale – gli ispettori sono in Piazza Meda ormai da due anni – il cambio di marcia che difficilmente passerà per una fusione con un’altra popolare. L’obiettivo, una volta chiuso il cantiere della governance, è infatti la redditività. «Bisogna ritornare alle basi, dopo i disastri delle gestioni Mazzotta e Ponzellini», spiega un manager di lungo corso di Piazza Meda. All’orizzonte c’è la risposta al verbale ispettivo di Bankitalia, da fornire entro il 23 settembre, la riforma della governance e soprattutto l’eliminazione degli add-on, i requisiti prudenziali aggiuntivi la cui rimozione dipende in gran parte dalla governance. Gestire l’emergenza non basta, in cambio della rinuncia alla Spa Bankitalia chiede di non essere costretta a passare altri 24 mesi in Piazza Meda a Milano.
Twitter: @antoniovanuzzo