È cominciato, finalmente, il campionato del calcio e del pallone, che ci riempie la domenica pomeriggio e pure le sere, con l’anticipo e il posticipo in tivù. Tra finte e colpi di testa ne avremo fino a maggio, con i giorni della settimana ricchi di discussioni sul filo del fuorigioco e sul quattro quattro due, che è meglio del tre cinque due o del quattro tre tre. Avremo falli da ultimo uomo e gesti di fair play, cori da stadio e urla dell’allenatore, bandierine del calcio d’angolo o del guardalinee. Ne avremo fin troppo, anche se non ci basta mai e se alla fine vince sempre il migliore, speriamo, quest’anno, che i migliori siamo noi.
il racconto
DI ZUPPA E DI PALLONE
Non furono tutti uguali i campionati di calcio in Italia, con partite di andata e ritorno, dall’autunno alla primavera, trasferte in treno vicine e lontane, derby, scontri diretti, tiri all’angolino, cartellini gialli e calci di rigore. Cento e passa anni fa, quando si cominciò a fare sul serio, funzionava più o meno così…
Anno uno, che poi era il 1898, ma siccome il campionato che si disputò allora fu il primo, chiamarlo anno uno mi piace di più. Iscritte erano quattro squadre soltanto: quarantaquattro giocatori in tutto. Tre erano di Torino: il Football Club Torinese, l’Internazionale Torino e la Ginnastica Torino; la quarta era il Genoa Cricket and Football Club di Genova, che fu pure l’unica a giocare in trasferta, visto che tutte le partite si disputarono in Piazza d’Armi, dalle parti di corso Luigi Einaudi, che allora si chiamava corso Peschiera, era periferia e oggi è nel bel centro di Torino.
Tutto nella stessa città, tutto sullo stesso campo e, già che ci si era, tutto lo stesso giorno: domenica otto maggio e meno male che non pioveva.
Alle nove del mattino, con l’aria frizzante che scendeva dal Monviso insieme all’acqua del Po, tutto era pronto e in quattro e quattr’otto l’Internazionale ti batte per uno a zero il Football Club, con cappuccino e brioche nell’intervallo. Il golletto lo segnò tale Edoardo Bosio e fu il primo, primissimo goal segnato in campionato in Italia. Fosse per me gli farei una statua.
Prima di pranzo fu il turno del Genoa a far fuori la Ginnastica per due reti a una, poi tutti sotto una pergola: lavatevi bene le mani e un piatto di zuppa di non so cosa e un bicchiere di rosso non vi sarà negato.
È sempre buona la zuppa di non so cosa, calda d’inverno, tiepida d’estate. Quel che conta, in ossequio al nome, è non sapere nemmeno per sbaglio gli ingredienti, altrimenti son guai e non so cosa possa succedere. Non so cosa, appunto.
Gli sconfitti inghiottirono pure il rospo, tra un boccone e l’altro, ma mica si può sempre vincere, non credi? Tra i finalisti, invece, l’appetito non mancava davvero, sia per la zuppa, sia per la vittoria finale, che era lì a un passo. Pare che qualcuno fece pure il bis, che non è come quando si segna una doppietta, ma quasi. Il bis del vino non so e non credo, ma per mandar giù anche un bicchiere d’acqua fresca fa il suo.
Alle tre del pomeriggio Genoa di qua, Internazionale di là, al fischio severo dell’arbitro inglese – mister Jourdan – vinca il migliore. E il migliore fu il Genoa, che vinse due a uno nei tempi supplementari e si laureò campione d’Italia, prima squadra nell’albo d’oro.
Bravi tutti! Baird, De Galleani, Spensley; Ghigliotti, Pasteur, Ghiglione; Le Pelley, Bertollo, Dapples; Bocciardo, Leaver. Bravo soprattutto il barbuto terzino James Spansley che, oltre ad aver segnato il primo goal, a un certo punto sostituì il proprio sfortunato portiere, vittima di un infortunio. Per gli amanti della tattica i campioni si schierarono con un ardito schema molto offensivo, noto come piramide di Cambridge, che oggi chiameremmo due tre cinque, come un prefisso del telefono, con due difensori, tre centrocampisti e ben cinque attaccanti all’arrembaggio.
Vinse anche il secondo campionato, il Genoa, e già che c’era pure il terzo, ma la formula era un po’ diversa: le squadre sfidanti si giocavano un torneo tra di loro e la vincente avrebbe poi incontrato i campioni, cercando di prenderne il posto. Così il sedici di aprile del 1899 di nuovo di fronte Internazionale e Genoa, con vittoria dei liguri per tre a uno e per cena trofie con il pesto per tutti, anche se io – per rispettare la tradizione e la scaramanzia – avrei preparato di nuovo la zuppa di non so cosa. E il ventidue aprile del 1900: Genoa conto Football Club Torinese e di nuovo tre a uno.
Era il calcio dei pionieri, quello degli ultimi anni dell’Ottocento, con sfide epiche e fangose, fotografie in bianco e nero un po’ sfuocate e un po’ sovraesposte. Era un calcio che non ne fanno più, di giocatori così e, purtroppo, nemmeno di zuppe di non so cosa come quella lì, che se ci penso mi scende una lacrimuccia.
la fotografia
Bacigalupo, Ballarin, Maroso; Martelli, Rigamonti, Grezar; Menti, Loik, Gabetto; Mazzola, Ossola. Forse è una formazione che non hai mai sentito annunciare dalla voce gracchiante del cronista, tra gli olé dei tifosi, ma si tratta di undici uomini che, messi insiemi, hanno scritto grandi pagine nella della storia del pallone. Si tratta del Grande Torino: la squadra più forte di tutti i tempi, secondo i tifosi granata ma, in cuor loro, anche secondo i sostenitori delle altre squadre.
Siamo negli anni Quaranta, le immagini sono sfuocate e in bianco e nero, i ricordi della guerra sono freschissimi, ma il pallone è sempre il pallone e al mitico stadio Filadelfia le domeniche non sono giorni qualsiasi. E alla fine il campionato lo vinceva sempre il Toro.
Ci volle una disgrazia, per porre fine a questo dominio: un incidente aereo, con l’intera squadra, di ritorno da una trasferta a Lisbona, che si schianta contro la basilica di Superga, lassù, sulla collina della città.
il video
I novanta minuti di una partita di pallone hanno dato il titolo a una delle trasmissioni storiche della televisione italiana: 90° minuto, che dal 1970 racconta il campionato dallo studio e dagli stadi, con immagini e interviste. Certo, quando tutte le partite si disputavano in contemporanea, senza anticipi o posticipi, senza dirette se non quelle alla radio, trasmettere per primi le azioni da goal era un bel vantaggio, altroché! Gli inviati un po’ tifosi erano dei veri e propri personaggi e come la sigla non ce n’era. Quei pochi secondi strombettanti, con lo stadio che si riempie in fretta, hanno fatto per molti da colonna sonora di ogni domenica pomeriggio.
la pagina web
Dalle parti di Firenze c’è il quartiere di Coverciano, che è un luogo tra i più calcistici d’Italia. Ha sede lì, infatti il centro tecnico della Federazione dove, per esempio, si raduna la nazionale prima di qualche partita. E lì c’è anche il museo del calcio, che ti permette di fare quattro salti nel mondo del pallone, soprattutto all’indietro.
Puoi prendere un treno, se ti va, e andarci di persona, oppure puoi navigare tra le pagine del suo sito, che già così aprono molte finestre alla fantasia: palloni, maglie, scarpini, gagliardetti, fotografie, pagine di giornale…
i nostri eroi
Tra i giocatori più vincenti nella storia del nostro calcio ce n’è uno che non era centrattacco e nemmeno fantasista, bensì terzino: difensore di fascia sinistra, dove correva su e giù, vincendo anno dopo anno trofei di ogni genere, tra cui sette begli scudetti. Stiamo parlando di Paolo Maldini, figlio di Cesare, anche lui calciatore sovraccarico di vittorie. Entrambi hanno legato le proprie sorti al Milan, di cui furono supercapitani uno a cavallo del nuovo millennio, l’altro trent’anni prima. Siamo tutti ansiosi di sapere se anche i figli di Paolo, nipoti di Cesare, seguiranno la stessa strada.
Paolo Maldini, oltre a tutti i trofei ha anche un record molto difficile da battere. È lui il giocatore che, nella storia, ha disputato più partite in Serie A: seicentoquarantasette, che messe una sull’altra fanno più di venti campionati. Chi volesse provare a fare altrettanto è bene che si metta d’impegno e cominci la mattina presto.
Tra gli appassionati di pallone delle ultime quattro generazioni, c’è un nome che è sinonimo di gioco del calcio. Anzi, un cognome: Trapattoni, che di nome faceva Giovanni. Trap per gli amici, che poi siamo tutti noi. Già, perché a parte il tifo, è davvero impossibile non provare simpatia per questo mito di tutti gli stadi.
Da calciatore ha militato per quasi per tutta la carriera nel Milan e, con la nazionale, si vanta di essere stato tra i pochi ad aver marcato con successo nientemeno che Pelé. Ma è da allenatore che la sua figura si è fatta via via sempre più mitica, a cominciare con i tanti scudetti e trofei vinti sulla panchina della Juventus, poi quella dell’Inter, del Bayern di Monaco, del Cagliari, della Fiorentina, della nazionale italiana, del Benfica di Lisbona, dello Stoccarda, del Salisburgo e, da qualche anno, della nazionale irlandese. Tutto come se avesse sempre vent’anni!
Va da sé che Trapattoni detiene il record di scudetti vinti: sette, per la precisione, cui però vanno aggiunti i campionati conquistati in Germania, Portogallo e Austria e siamo a dieci. Difficile fare altrettanto.
Tra i nomi mitici del campionato di calcio ci sono numeri dieci e centravanti, mediani e allenatori, presidenti e ali tornanti, ma ce n’è uno che – pur bravo – nel suo ruolo non era certo il migliore di tutti. Tuttavia diventò famoso, famosissimo addirittura, che è una cosa più unica che rara, per i tipi come lui. Ma proprio la rarità fu la sua fortuna.
Portiere dell’Atalanta, negli anni Sessanta, era Pierluigi Pizzaballa che, come tutti i suoi compagni e avversari, veniva fotografato in bella posa, per realizzare la figurina della collezione Panini. Chi non ha mai collezionato le figurine Panini?!
L’Atalanta era spesso la prima squadra del campionato, in ordine alfabetico, e il portiere era il primo calciatore, quindi il numero uno dell’intero album. Già questo poteva essere un bel modo per diventare famosi. Ma nel campionato 1963-64 la sua figurina non si trovava. Mancava a tutti e, più mancava, più veniva cercata e ricercata, più il nome di Pizzaballa diventava mitico. Tutto grazie alla figurina più rara della storia delle collezioni, che è un po’ come aver parato il rigore decisivo.
quattro domande a…
… Mark Lenders
Caro Kojiro, mi sarei aspettato di vederla in campo in questo campionato appena cominciato, invece…?
Invece dalla tribuna lo spettacolo si vede molto meglio. Se si sta in curva è anche divertente, con tutte le bandiere e i cori; se invece si sta nelle più confortevoli tribune laterali si vede il campo nella sua interezza e di ogni azioni non si perde nemmeno un passaggio. Nemmeno in tivù si vede così.
Potrei anche concordare, ma noi tifosi preferiamo vedere voi campioni galoppare sul prato e tirare mirando al sette, altro che tribuna o tivù!
La fatica – caro mio – è una cosa seria. È vero che ci si diverte e si è invidiati da tutti, ma se piove ti bagni, se fa caldo hai sete a metà del primo tempo, in più se non corri l’allenatore ti strilla dietro, senza tanto pensare alle buone maniere.
Sarà, ma voi campioni di cartone fate fatica per finta. Chi suda davvero, soprattutto nei polpastrelli, è il disegnatore. Per una rovesciata come si deve ci impiega anche mezz’ora.
Allora vada a intervistare Yoichi, che saprà raccontarle anche tanti trucchi grafici e narrativi. Ne sa molto anche di pallone, ma di gente esperta in materia se ne trova ovunque, mica solo tra gli artisti.
Su questo ha ragione. Pensi che anch’io sono convinto di capirci qualcosa… mi conceda un’ultima domanda: chi vincerà il campionato?
Lo so! Lo so, ma non lo dico. Sarà una squadra che gioca in undici! Ma undici forti davvero. Più le riserve. E tra questi non ci sarò io, che me ne starò in tribuna. E sayonara.
ti consiglio un libro
Fulvio Paglialunga – OGNI BENEDETTA DOMENICA – Add editore
Il bello di questo libro è che, nonostante il titolo, lo puoi leggere anche in qualsiasi altro giorno della settimana, soprattutto se di domenica si gioca il campionato e sei impegnato a guardare qualche partita. E poi il bello è anche che, sebbene parli di calcio, puoi leggerlo tranquillamente anche se il pallone per te è davvero una palla. Già, perché rotolando e rimbalzando un pallone può svelare storie insolite e inaspettate, come la finta di un campione o un colpo di tacco improvviso. E alla fine forse il calcio è solo una scusa per raccontare… e raccontare diventa la migliore scusa per giocare a pallone.
Twitter: @andreavalente