Ecco perché sulle armi chimiche Obama non è ipocrita

Storia dell’impiego dei gas tossici

Alla vigilia del G20 di San Pietroburgo è arrivata l’apertura del presidente russo. «Non lo escludo», ha risposto Vladimir Putin alla domanda se acconsentirebbe ad un intervento militare, qualora fosse provato l’uso di armi chimiche da parte di Assad. Diventa sempre più importante l’accertamento, a cui oltre ai servizi di intelligence nazionali stanno lavorando anche gli esperti dell’Onu, dell’eventuale utilizzo di gas tossici nella guerra civile siriana. Ma cosa sono queste armi chimiche e perché si attribuisce tanta importanza ad uno strumento che ha causato meno dell1% delle vittime del conflitto?

Si tratta di sostanze tossiche che hanno la capacità di uccidere, ferire o comunque danneggiare il nemico. Al contrario delle armi convenzionali non necessitano di un’esplosione ma è sufficiente la loro dispersione nell’aria. Sono considerate dalle Nazioni Unite come armi di distruzione di massa e la loro produzione e stoccaggio è stata messa al bando dalla Convenzione sulle armi chimiche del 1993, peraltro mai ratificata dalla Siria oltre che da Corea del Nord, Egitto, Angola e Sud Sudan (Israele e Birmania hanno firmato ma non ratificato). Questo trattato internazionale – sottoscritto da 188 Stati su 204 – è solo l’ultimo passo nel lungo cammino che ha portato al bando totale di questo strumento bellico.

Già nel 1874 con la Dichiarazione di Bruxelles si era intuita la potenziale atrocità dei gas tossici ed era stato vietato il loro utilizzo. Le convenzioni dell’Aja del 1899 e del 1908 ribadirono questo orientamento. Fu dunque uno choc per l’Europa quando, durante la Prima Guerra Mondiale, la Germania utilizzò su vasta scala il gas di cloro – un asfissiante – a Ypres, in Belgio. I morti furono 5 mila in 10 minuti. Il responsabile scientifico dell’attacco fu il futuro premio Nobel per la chimica Fritz Haber. La sostanza lì impiegata per la prima volta prese il nome di “iprite” (noto anche come “gas mostarda” visto il suo caratteristico odore).

Nello sviluppo del conflitto i gas cominciarono ad essere prodotti e impiegati da tutte le nazioni coinvolte ma, terminate le ostilità e dopo oltre 100 mila morti intossicati, si tornò a ribadire il principio per cui anche in una situazione di guerra alcuni limiti non vanno oltrepassati. Alla Germania fu vietata la produzione e il possesso di gas asfissianti, nel 1922 a Washington e nel 1925 a Ginevra fu nuovamente statuito il divieto di impiegare armi chimiche. Negli anni successivi purtroppo si distinse l’Italia per il massiccio impiego di gas tossici nel corso della guerra di Etiopia del 1935-36. Sia il generale Graziani che Benito Mussolini si dimostrano determinati nell’utilizzare contro la popolazione, oltre che contro l’esercito, questo strumento micidiale.

La Seconda Guerra Mondiale vede un impiego più limitato dei gas tossici, forse anche per lo sviluppo di efficaci tecnologie difensive (a partire dalle maschere antigas) da parte delle potenze coinvolte. Si sa che Hitler aveva stoccato nel porto di Lubecca tonnellate di proiettili armati con gas nervino – preparato per la prima volta nel decennio 1934-1944 dalla Bayer in Germania – ma non ne fece mai uso a scopi bellici nel corso del conflitto. Gli storici ancora non hanno una spiegazione del perché. Sempre alla Germania nazista si deve l’invenzione del Sarin, un gas nervino – che pertanto agisce sul sistema nervoso, causando perdita delle funzioni corporee, stato comatoso, convulsioni e morte – inodore e incolore particolarmente letale. Secondo le accuse dell’intelligence i depositi di armi chimiche di Assad sarebbero pieni di tonnellate di questo genere di gas.

Nonostante la scoperta dei gas nervini risalga al 1939 non si hanno prove certe del loro impiego in battaglia fino al conflitto tra Iran e Iraq tra il 1980 e il 1988 (anche se Americani e Russi si sono accusati reciprocamente di averle utilizzate nel corso della guerra fredda in Corea e in Afghanistan). Saddam Hussein per fermare le offensive iraniane sullo Shatt al Arab utilizzò i gas, tra cui il Sarin e l’iprite, contro la fanteria iraniana sprovvista di maschere. I morti furono migliaia. Questo agosto un’inchiesta di Foreign Policy ha dimostrato – sulla base di documenti della Cia recentemente declassificati – come l’amministrazione americana dell’epoca fosse perfettamente a conoscenza dell’impiego di armi chimiche. Anzi, nel 1988 gli Americani aiutarono l’esercito iracheno nell’individuazione degli obiettivi da colpire col Sarin, della cui produzione avevano le prove fin dal 1983. L’uso di quegli stessi gas contro la popolazione civile, in particolare curda, fu uno dei capi di imputazione che portarono all’impiccagione di Saddam e del cugino Alì “il chimico”.

Dopo la Prima Guerra Mondiale le armi chimiche sono state stigmatizzate più per la loro pericolosità potenziale che non per i reali danni dovuti al loro impiego. Anche nel conflitto Iran-Iraq sono migliaia le vittime dei gas a fronte di un numero complessivo di un milione. Quello di una guerra di massa con un vasto impiego di moderni gas tossici – contro cui le maschere antigas non sempre si rivelano efficaci – è un vaso che la comunità internazionale non vuole in nessun caso scoperchiare. Questo spiega in parte l’apparente ipocrisia della solo recente indignazione occidentale, quasi che negli scorsi due anni non fossero morte decine di migliaia di persone innocenti in Siria.

Damasco ha un arsenale chimico, pare molto vasto, a cui lavora fin dagli anni ’70. Secondo indiscrezioni la quantità di gas tossici oscillerebbe tra le 500 e le 1000 tonnellate, tra cui Sarin, Vx e Iprite. Gli impianti siriani sarebbero comunque in grado di produrne in quantità massicce all’occorrenza. Il regime siriano, prima con Hafez Assad poi col figlio Bashar, si sarebbe procurata questa ingente quantità di armi di distruzioni di massa e la tecnologia per produrle grazie alla Russia in primo luogo, ma anche conducendo affari con diversi Stati europei, tra cui – secondo un rapporto di Globalsecurity – Olanda, Svizzera, Francia, Austria e Germania.

L’attacco che Obama sta preparando – e per il quale dovrebbe ottenere il via libera dal Congresso – non ha l’obiettivo di eliminare il regime di Assad. Manca una strategia per il dopo e l’infiltrazione del fanatismo islamico nel fronte ribelle rende molto cauta l’amministrazione americana. L’eventuale bombardamento di obiettivi siriani avrebbe un duplice scopo: salvaguardare la credibilità internazionale degli Stati Uniti – che dopo aver tracciato una linea rossa non ne possono ignorare il superamento – e stabilire un precedente: nessuno può utilizzare armi chimiche in nessun conflitto senza subire una ritorsione. Il piano inclinato sarebbe troppo pericoloso.

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