Sette dominate dal Padre, sesso e decadenza, a Venezia

Da Ti West a Gilliam e Xavier Dolan

Un Polanski omosessuale, carico di tensione e umorismo nero, con prepotenza si fa largo per i premi maggiori. Tom à la ferme è l’ultima opera di un canadese di 24 anni, Xavier Dolan, che finora ha alimentato un piccolo culto intorno al proprio nome nel circuito festivaliero internazionale e qui a Venezia può confidare, con parecchi numeri dalla sua, nella definitiva consacrazione.

Tom è un ragazzo di città che si ritrova nella sperduta campagna del Quebec per un funerale: è morto il suo compagno. Ma la relazione va mantenuta segreta alla madre del defunto, la quale vive con il fratello agricoltore che invece sa tutto e sin da subito appare piuttosto disturbato. Nel calibrato gioco di attrazione e repulsione si snodano le vicende nella fattoria, con un paio di apparizioni che segneranno le svolte drammatiche. Dolan imbastisce la sua trama su un pugno di personaggi assai riusciti, tutti in lotta con una forma di ostilità psicologica e ambientale. Il sesso – molto intelligentemente il regista evita di mostrare alcunché – è la forza morbosa che muove i fili e proprio sulle ambiguità di questa pulsione le dinamiche della storia si muovono con un’alternanza funambolica di commedia e thriller, lavorando sulla sfrontata brillantezza dei dialoghi e sulle atmosfere (mi raccomando: mai inoltrarsi in ottobre dentro un campo di mais, le foglie son come lame). È quasi incredibile che dietro la macchina da presa ci sia un autore così giovane e già titolare di un tale mestiere.

Un altro giovane di solido professionismo è Ti West, classe 1980, che nella sezione Orizzonti presenta The Sacrament. West si muove sul terreno a lui congeniale dell’horror: lo fa senza mostri ma esercitandosi invece sulla nefandezza della cieca fede in uomini sbagliati. In controluce The Sacrament è anche una divertente parodia (riteniamo del tutto condivisa dai parodiati) del gonzo journalism che ha in Vice uno dei suoi pilastri più celebri di questi anni. Proprio una troupe della testata americana si inoltra – per uno dei loro servizi scoopparoli da urlo che fanno molto “stranissimo ma vero” – in una foresta dove è installata una setta dominata dalla figura del Padre. All’apparenza tutti felici ed entusiasti, in realtà succubi della violenza del potere del capo. Girato come un finto documentario, The Sacrament per due terzi si carica della tensione sulle oscurità di quella comunità, nel finale si insanguina come si deve. È la stampa, bellezza!

Dispiace sempre scrivere di delusioni, soprattutto quando provengono da venerati maestri. Terry Gilliam porta in concorso The Zero Theorem centrando un risultato limpido e feroce: farci rimpiangere non dico i tempi dei Monty Python e di “Brazil”, ma anche solo quelli della “Leggenda del re pescatore”. Appena mise mano al Testo Sacro della “Jetée” di Chris Marker per farne il modesto “Esercito delle 12 scimmie”, comparvero segnali inquietanti di involuzione, tra Don Chisciotte abortiti, progetti stroncati e realizzazioni trascurabili. Per ultimo giunge questo Teorema Zero, fiacchissimo apologo sull’uomo contemporaneo schiacciato dalla tecnologia e da internet. L’alienato programmatore interpretato da Christoph Waltz è al lavoro per scoprire col cervellone elettronico il mistero dell’esistenza umana: che è poi un gran buco nero, come vediamo già dalla prima inquadratura. In una Londra futuribile, su cui svetta il nuovissimo grattacielo The Shard del nuovissimo senatore a vita Renzo Piano e dove l’evoluzione ha finalmente portato i locali a guidare a destra (roba che solo nei film…), il genio del software forse trova l’amore ma è abbastanza stupido da non coglierlo se non probabilmente nei sogni alimentati dal rimpianto. In questo disastro fiammeggia per fortuna un lampo biondo: Melanie Thierry, nostro personale Leone d’Oro per il sex appeal. Proprio lei pronuncia la definitiva stroncatura involontaria del pasticcio gilliamesco in conferenza stampa: si ragiona di tecnologie usurpanti e lei candidamente ammette che “sono rimasta alla carta e penna, non ho nemmeno quelle cose tipo Facebook e Twitter”. Alla faccia dei tecno-schiavi.