L’Italia è uno strano Paese, in cui chi ha fatto della lotta al finanziamento pubblico ai partiti la propria bandiera (Grillo e grillini) poi non fa nulla in concreto per il referendum che ne propone l’abolizione. In cui partiti storicamente su posizioni laiche, antiproibizioniste e favorevoli ad una diversa regolamentazione dell’immigrazione (Sel, socialisti, Rifondazione) non si impegnano nella raccolta firme per far votare il popolo italiano su questi temi. In cui il leader politico più conosciuto che ha firmati tutti i referendum (Silvio Berlusconi) era il presidente del Consiglio dei governi che hanno varato molte delle leggi che si vorrebbero abrogare. In cui il maggior partito dell’area progressista (il Pd) preferisce mantenere un “incredibile silenzio” piuttosto che aprire un dibattito interno su giustizia, immigrazione e altri temi caldi.
Questo è il quadro che dipinge Rita Bernardini, ex segretario dei Radicali ed esperta di giustizia, all’indomani del deposito delle firme relative ai referendum in Cassazione, avvenuto il 30 settembre. Solo sei, quelli sulla giustizia in senso stretto, hanno superato le 500 mila firme. Solo quelli – i più cari a Berlusconi – per cui il Pdl ha messo in campo appieno la propria macchina organizzativa e di comunicazione. Gli altri – immigrazione, droghe leggere, divorzio breve, riforma dell’8×1000 e finanziamento pubblico ai partiti – si sono fermati a molto meno. «Tra le 150 mila e le 200 mila firme», secondo Bernardini.
«Sono molto dispiaciuta – prosegue l’ex parlamentare radicale – che sei referendum non siano passati, e trovo sbagliato parlare solo degli altri come di quelli legati alla giustizia. L’abrogazione delle norme in materia di immigrazione non riguarda la giustizia? Una diversa disciplina per il piccolo spaccio non riguarda la giustizia? Perfino il divorzio breve, che avrebbe aiutato a sgonfiare i nostri tribunali, ha a che fare con la giustizia».
Come mai questi quesiti non sono passati?
È mancato l’apporto delle forze politiche organizzate. Sel e i socialisti, che pure avevano sostenuto di promuovere i referendum, alla fine non hanno fatto nulla. Anche la Cgil che aveva dichiarato di volersi spendere per i quesiti sull’immigrazione alla fine ha dato un apporto pari a zero. Oltre ovviamente all’incredibile silenzio del Pd.
Perché questo atteggiamento secondo voi?
Perché i referendum hanno sempre dato fastidio, già dai tempi del vecchio partito comunista. Dava fastidio che si esprimesse il popolo, anche perché quando poi la gente va a votare magari si scopre che è più d’accordo con noi su questi temi che non con la dirigenza del proprio partito di riferimento.
Al momento della presentazione dei dodici referendum si poteva pensare che quello sull’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti avrebbe fatto da traino anche agli altri. Invece è addirittura tra quelli che non hanno raggiunto il numero necessario di firme…
Anche in questo caso è mancato completamente qualsiasi contributo dall’esterno. Grillo aveva pubblicamente dichiarato che ci avrebbe aiutato ma alla fine si sono rivelate parole al vento. Si è fatto il suo spot propagandistico ma non ha dato nessun contributo per la raccolta firme, che è un procedimento abbastanza complesso.
Davvero nessun aiuto di nessun tipo da parte del Movimento 5 Stelle?
Zero.
Per quanto riguarda invece i sei quesiti – separazione delle carriere, custodia cautelare, responsabilità dei giudici, magistrati fuori ruolo e abolizione dell’ergastolo – che sono passati, quanto è stato determinante il supporto del Pdl?
Il loro impegno c’è stato, anche se un po’ tardivo. All’inizio avevano dichiarato di sostenere i quesiti ma un aiuto concreto è arrivato solo dopo che Berlusconi ha firmato pubblicamente accanto a Marco Pannella.
Ma hanno raccolto firme solo per i sei sulla giustizia?
No, ci hanno mandato anche un po’ di firme sugli altri. Non molte a dire il vero…
Non temete che tematiche legate alla giustizia – anche molto importanti e complesse – possano essere ridotte al solito scontro tra chi sta con Berlusconi e chi sta contro?
Sì, il rischio c’è. Però dobbiamo guardare al contenuto dei referendum, che sono importanti e riguardano la vita dei cittadini. Ad esempio in Italia abbiamo il record europeo di ricorso alle misure cautelari. Il 40% di chi sta in carcere ci sta per una misura cautelare, e di questi la metà poi si scopre che è innocente e lo Stato deve risarcire. Un tema del genere non riguarda tutti?
Ma alcuni dei quesiti sembrano ricalcare proprio i cavalli di battaglia di Berlusconi in materia di giustizia. La responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle carriere…
Io dico “purtroppo” non è vero, queste non erano e non sono le sue priorità. Quando proponemmo nel 1999 dei referendum sulla separazione delle carriere e sugli incarichi extragiudiziari dei giudici Berlusconi boicottò il voto, sostenendo che tanto poi ci avrebbe pensato lui. In tutti gli anni successivi non ha mai fatto assolutamente niente di quanto promesso.
Quando si potrebbe andare a votare per questi referendum?
Allora, entro il 31 ottobre la Cassazione deve analizzare le firme depositate. Se ci sono tocca alla Corte Costituzionale ammettere i quesiti. Superato anche questo scoglio è il Presidente della Repubblica che deve convocare i comitati elettorali, tra il 15 marzo e il 15 giugno. Ma se dovesse cadere il governo e si dovesse andare al voto nel 2014 – ipotesi oggi più remota ma ancora non da escludere – allora i referendum non si potrebbero svolgere e verrebbero rimandati all’anno successivo. È già successo in passato che i governi venissero fatti cadere proprio per evitare una consultazione popolare.
Secondo lei è credibile che possa essere questo il motivo per cui si torna alle urne?
In passato è successo. Ora potrebbe essere uno dei motivi per anticipare il voto. Quella parte di centrosinistra che è collusa con alcuni settori della magistratura vivrebbe con enorme fastidio il doversi esprimere su temi come questi. Specie se poi si andasse a votare poco dopo.
Twitter: @TommasoCanetta