Tutte le facce di Katy Perry

Musica

La faccia di porcellana di Katy Perry emerge da una giungla posticcia: è il video di Roar, il primo singolo del suo quarto album uscito il 22 ottobre, Prism. Il pezzo, be’, è gradevole nella sua doppia dimensione perfettamente concertata di pop da classifica e inno motivazionale à la Beautiful di Christina Aguilera; e Dio sa se quello della motivazione è un grimaldello efficace per aprire le porte della rotazione radiofonica (chiedete a Lady Gaga, esperta dell’argomento). Comunque: la faccia di Katy Perry emerge da una giungla posticcia ed è subito chiaro che c’è qualcosa di strano.

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Va da sé che non ci si abitua mai alla versatilità delle pop star. Una parte di noi vorrebbe che rimanessero identiche a loro stesse perché c’è un conforto nell’infilare il mondo in compartimenti stagni. Eppure, negli ultimi mesi, abbiamo assistito attoniti a tre episodi di camaleontismo coatto: Lady Gaga con i capelli rame, relativamente acqua e sapone nella campagna di Artpop, Miley Cyrus trasformata in una fantasia masturbatoria di Terry Richardson e infine lei, Katy Perry, che con Prism arriva al compimento di una parabola che l’ha vista passare da ragazza di Cristo (con il suo primissimo album, nel 2001) a Vargas Girl, a principessa Disney. Provate a guardare i suoi video in ordine (alcuni molto belli, va detto) e capirete cosa intendo: nel giro di sei anni Perry è passata da:

1) Sogno bagnato (I Kissed a Girl ). 

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2) Party girl (Waking Up in Vegas)

3) Caricatura erotica (California Gurls)

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4) Graziosa nerd (Last Friday Night – T.G.I.F.).

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E poi giù, sempre più giù, in discesa verso il mondo degli adolescenti di quel Teenage Dream, seppure con qualche eccezione dolente (come The One That Got Away): dispensatrice di fiamma interiore (Firework), alieno (E.T.) e strega/maga (Wide Awake).
Da qui in poi ci sono solo i bambini, ed ecco arrivare la Jane (senza Tarzan) di Roar

La Perry è il franchise vivente di se stessa. Non sono sicura che esistano stelle della musica altrettanto disposte a navigare le acque della cultura pop con lo stesso misto di intelligenza e idiozia. Forse non sapevate che Katy Perry ha un’identità digitale nel videogame The Sims 3, che ha anche una terrificante espansione dedicata e che in agosto ha spruzzato l’universo della sua terza fragranza (Killer Queen); ma forse sapevate che per ben tre film dei Puffi ha prestato e presterà la voce a Puffetta. È come se – bellissima, rotonda, colorata, ingegnosa e sempre poco, molto poco minacciosa – Katy Perry fosse il miglior esempio di automarketing esistente nella musica oggi. Meglio di Lady Gaga, non c’è paragone, perché la Perry è inerme come un cartonato e straordinariamente familiare: ha una faccia che somiglia ad almeno due attrici già note (Emily Blunt e Zooey Deschanel) e chiunque, dietro le tette di panna e gli innocui bacetti lesbo al sapore di fragola, sarebbe stato in grado di prevedere quel che sta succedendo adesso.

«Madonna non mi cederà mai il suo scettro, ma io punto a una lunga carriera. Credo che negli anni assomiglierò sempre di più a Joni Mitchell»: l’ha detto Katy Perry in una recente intervista a Billboard. E, sì, avete letto bene. La pin up con le parrucche, i corsetti e le voluttuose ciglia carnevalesche è in realtà una matrioska che contiene una cantante folk, a sua detta, o comunque un’anima country – vagamente cristiana – mai sopita. Ma c’è un problema: I Kissed a Girl e perfino E.T. erano pezzi contagiosi e nascevano da album coesi al di là dei gusti. Prism, invece, è il disco più brutto di Katy Perry fino a questo momento, chiaramente un lavoro di transizione tra quello che era e quello che sarà.

È come se la neoprincipessa Disney (la stessa che, intanto, sta scoprendo un’ intima vocazione a essere Joni Mitchell) passasse la vita tra compleanni di bimbi alle cinque del pomeriggio e inconsistenti giri notturni su dancefloor che non si capisce bene da quale viaggio in DeLorean spuntino fuori, piangendo a intervalli regolari su ricordi struggenti come quello di Ghost. Va bene, c’è un tempo per tutto. Per il momento restiamo a guardare la crepa in quella bella faccia di porcellana: è uno spettacolo bizzarro.

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