Il 2013 è stato uno dei dieci anni più caldi dal 1850, ma sembra che la comunità internazionale voglia fare ben poco per contenere il problema delle emissioni. Ben 195 paesi si sono riuniti a Varsavia nella diciannovesima edizione della “Conferenza delle Parti” (Cop) nell’ambito della “Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici”, che si è svolta a Varsavia dall’11 al 23 di Novembre, ma tale è stato il fallimento che gran parte delle ong presenti a Varsavia ha deciso di abbandonare la conferenza in segno di protesta.
«I negoziati sono una cosa seria e vanno fatti seriamente. Varsavia è forse una delle conferenze in cui si sono verificati i passi indietro più visibili» ha detto Mariagrazia Midulla, responsabile Clima e Energia del WWF Italia. «Per questo abbiamo voluto dire che i negoziati non si fanno così e ce ne siamo andati. Questo non vuol dire che lasceremo i negoziati sul cambiamento climatico, ma l’accordo deve essere globale e serio».
Nessuno aveva riposto grandi aspettative in questa edizione della Cop, considerata una tappa intermedia verso Parigi, dove nel 2015 si dovrebbe raggiungere un accordo vincolante che impegni tutti i paesi a ridurre le proprie emissioni di CO2. Il pessimismo è comprensibile: secondo un report del Global Carbon Project, le emissioni aumenteranno quest’anno del 2,1% battendo il record del 2012. Alcune delle questioni sul tavolo sono state rinviate alla conferenza interlocutoria di Lima del 2014.
In questo già grigio scenario, il Giappone ha annunciato la drastica diminuzione dei suoi impegni da un precedente 25% ad un misero 3,8% di riduzione delle emissioni rispetto ai livelli del 2005. Cina e India hanno invece rifiutato di prendersi impegni di riduzione entro il 2015, limitandosi a prevedere generici “contributi”. Sotto il mirino delle ong anche l’Australia per la revoca della carbon tax e il Canada per aver elogiato tale decisone e aver invitato altri paesi a seguirne l’esempio. Anche questa Cop purtroppo non sembra essere riuscita a liberarsi da una dinamica di opposizione fra paesi ricchi e poveri. È infatti intorno al concetto di responsabilità e delle sue implicazioni che si giocano, e spesso si arenano, gran parte delle negoziazioni. E Varsavia non ha fatto eccezione, registrando pochi deboli passi avanti.
La novità forse più significativa si è registrata sul fronte della deforestazione, con la chiusura delle negoziazioni che erano iniziate a Cancun nel 2010 sul cosiddetto “Redd” (“Reduced Emissions from Deforestation and Degradation”). Su questo fronte si sono finalmente stabilite le linee guida attraverso cui valutare gli impegni dei paesi in via di sviluppo per contrastare la deforestazione. Sulla base dei risultati ottenuti, questi paesi avranno accesso ad un fondo in cui Stati Uniti, Norvegia, Gran Bretagna e Germania si sono già impegnati a versare 280 milioni di dollari.
Varsavia sarà poi ricordata per il raggiungimento di un accordo sul cosiddetto “loss and damage”, richiesto a gran voce dalla coalizione delle piccole isole supportate dal blocco dei paesi in via di sviluppo (G77). L’affermazione di un nuovo meccanismo potrebbe portare in futuro alla creazione di un possibile fondo specificamente destinato al risarcimento di perdite e danneggiamenti dovuti ad eventi estremi riconducibili ai cambiamenti climatici.
Questa però avrebbe dovuto essere la Cop degli aiuti finanziari, in cui i paesi industrializzati si sarebbero messi le mani in tasca e avrebbero rinnovato l’impegno preso a Copenaghen di versare 100 miliardi di dollari in un “Green Climate Fund” da qui al 2020. Così non è stato, e tranne qualche vaga promessa, niente di concreto si è mosso su questo fronte. «La conferenza di Varsavia non ha portato la necessaria chiarezza sugli impegni finanziari dei paesi sviluppati», ha dichiarato Corinne Lepage, membro della delegazione del Parlamento Europeo, «e senza ciò sarà difficile convincere i paesi in via di sviluppo ad impegnarsi in un nuovo regime legale che sia applicabile a tutte le parti».