Home is where your heart is, dicono gli inglesi. A giudicare dai loro bilanci, si direbbe che per le banche dell’Eurozona gli asset seguano il cuore. La frammentazione del mercato finanziario dell’Eurozona è diventata una spina nel fianco per i policymaker Europei nel corso degli ultimi tre anni. La Banca Centrale Europea ha reagito garantendo liquidità e, dal punto di vista più strutturale, lo spettro della frammentazione finanziaria ha agito da catalizzatore per un accordo sull’Unione Bancaria, il passo in avanti più importante in termini d’integrazione Europea da anni a questa parte. Queste risposte hanno ridotto le tensioni sui mercati, cosa che, a sua volta, ha ridotto l’incentivo a concretizzare le promesse. Ma dietro la calma piatta che apparentemente sembra regnare sovrana sui mercati finanziari, la frammentazione finanziaria esiste ancora, e a guardarla da vicino fa anche abbastanza paura.
La ritirata strategica
A cominciare dal 2009 le banche dell’Eurozona hanno pesantemente ridotto gli investimenti all’estero. Questo ha portato, soprattutto nel Sud, a un impressionante ri-nazionalizzazione degli asset bancari in generale, e dei portafogli di debito in particolare. Il primo pannello a sinistra nella Figura 1 mostra prestiti estesi ai residenti dell’Eurozona e portafogli di securities emesse da residenti dell’Eurozona Entrambe le serie sono più che raddoppiate nel corso dell’ultimo decennio, dopo l’introduzione della moneta unica. L’inizio della crisi nel 2008 ha coinciso con un arresto nella crescita degli attivi bancari, ma i numeri aggregati non mostrano una drammatica inversione di tendenza. I pannelli 2 e 3, che distinguono invece tra dimensione domestica e rapporti con il resto dell’euro area, sono più illuminanti. Mostrano quanto la crescita visibile a livello aggregato prima della crisi fosse dovuta principalmente all’esplosione dell’attività cross-border (intra-euro are in questo caso), in particolare dei portafogli di debito.
Figura 1– Prestiti e portafogli di debito delle banche nell’area euro – totale, domestico and intra-area (1999/01=100)
Nel caso dell’Eurozona, i dati aggregati sono fuorvianti perché il diavolo è come sempre nel dettaglio (Paese). La Figura 2 mostrai portafogli di strumenti di debito emessi da residenti dell’area euro (pubblici e privati) in percentuale degli attivi totali delle banche nei vari Paesi. Un primo fatto interessante è l’esistenza di dinamiche diametralmente opposte tra Nord e Sud Nei Paesi del Nord – Germania, Olanda e Francia – il debito detenuto dalle banche in percentuale degli attivi è diminuito dal 2008 a oggi, mentre nei Paesi del Sud è aumentato a dismisura. Per quanto riguarda i Paesi del Sud va anche tenuto conto che gli attivi bancari totali sono diminuiti (le banche Europee hanno cominciato a ridurre il debito), quindi l’esplosione del debito in percentuale degli asset visibile alla fine della serie è in parte dovuta a questo (effetto denominatore). Un secondo fatto interessante riguarda la tempistica: l’aumento del debito detenuto dalle banche dei paesi del Sud sembra cominciare nelle prime fasi della crisi, rallentare nel 2009 e ricominciare nel 2010 Il crollo delle holding nei Paesi del nord inizia invece inequivocabilmente nella seconda metà del 2010, data d’inizio del primo programma di aggiustamento macroeconomico per la Grecia.
Figura 2– Portafogli di debito emesso da residenti dell’Eurozona, in % degli asset bancari
Fonte: Bce
La distribuzione di aumento e diminuzione tra attività domestica e cross-border è ancora più interessante. L’esistenza di un “home-bias” di lunga data nei portafogli di debito sovrano non è una novità. È piuttosto un leitmotiv nella discussione di policy a livello europeo degli ultimi anni, per via delle conseguenze quasi mortali che ha avuto sulle banche. Il ragionamento è noto: le banche detengono quantità notevoli di debito pubblico e, a parità di rischio, tendono a preferire debito emesso dal Paese di residenza. In un contesto in cui ogni Stato è individualmente responsabile per il salvataggio delle proprie banche questo provoca un circolo vizioso tra Stati e banche che nuoce a entrambi.
Osservando i portafogli di debito detenuti dalle banche nei vari Paesi, la tendenza alla ri-nazionalizzazione è evidente in quasi ovunque, ma con differenze sostanziali tra Nord e Sud. In Germania, il peso dei titoli domestici nei portafogli di debito è aumentato limitatamente e solo nella prima fase della crisi (2008/2009). In Francia, l’aumento è stato successivo, ma per entrambi i Paesi, la ri-nazionalizzazione dei portafogli di debito è limitata.
La situazione è completamente opposta per Spagna e Portogallo. In questi Paesi la crisi ha aumentato la ri-nazionalizzazione e, nell’estate 2013, il debito domestico contava ormai per il 90% dell’intero portafogli, come prima dell’introduzione dell’euro. In altre parole, tre anni di crisi sono stati sufficienti a cancellare l’effetto di 10 anni d’integrazione finanziaria, in questi Paesi.
Irlanda e Italia sono due casi estremi, ma in direzioni opposte. In Italia, le banche non hanno mai veramente internazionalizzato i propri portafogli di debito; il peso del debito domestico è rimasto attorno all’ 80% anche negli anni d’oro dell’integrazione finanziaria. In Irlanda, al contrario, le holding di debito domestico erano pressoché inesistenti (meno del 10%) fino al 2008 e sono ora aumentate fino al 30%, un valore straordinariamente alto per questo Paese.
L’ultimo tassello necessario per completare il mosaico è capire se la composizione di questi portafogli è cambiata anche per quel che riguarda i settori da cui il debito è stato emesso, in particolare se il settore pubblico è diventato o meno dominante.
In effetti vi è stato un aumento del peso del settore sovrano nella maggioranza dei Paesi ma, ancora una volta, le differenze fra Stati sono significative In Germania e Francia il debito domestico non è esploso in proporzione del debito totale e i termini di asset totali è diminuito. L’aumento della quota del debito sovrano domestico rappresenta perciò un “rimpasto” del portafoglio domestico esistente.
In Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia (figura 3), la situazione è fondamentalmente diversa. In questi Paesi, il debito in percentuale degli asset totali è aumentato negli ultimi 5 anni e il portafoglio si è rinazionalizzato con il debito domestico che conta ormai per quasi il 25% degli asset totali in Italia e Portogallo e quasi il 20% in Spagna. Al tempo stesso, il peso del settore governativo domestico è aumentato considerevolmente.
Figura 3 – composizione del portafoglio domestico: Italia e Irlanda
Fonte: Bce e banche centrali nazionali
Tre fatti rilevanti emergono dai dati presentati. Primo, le banche detengono molto debito in proporzione agli asset, soprattutto nei paesi periferici. Secondo, i portafogli di debito si sono pesantemente rinazionalizzati nel Sud, dove il debito domestico conta ormai fino al 90% del totale. Questi numeri implicano che la diversificazione internazionale dei portafogli di debito detenuti dalle banche in questi Paesi è sparita. Terzo, nei Paesi più sotto stress le banche si sono sempre più orientate sul debito pubblico invece che privato.
Questi fattori sono particolarmente rilevanti per l’attuale discussione di policy a livello Europeo. Nel breve periodo, solleva delle questioni importanti per l’esercizio di supervisione che la Bce dovrà iniziare a breve. Il presidente della Bundesbank Weidmann ha recentemente suggerito che, nel contesto di questo esercizio, i portafogli di debito sovrano detenuti dalle banche dovrebbero essere sottoposti a stress, per riflettere il fatto che il debito pubblico emesso da alcuni Paesi non si può più considerare risk-free e per disincentivare le banche dall’accumularlo.In queste circostanze è importante tracciare una linea di demarcazione tra breve e medio termine. L’aumento dell’home bias nei portafogli di debito delle banche nel Sud della zona euro sono il risultato di tre anni di crisi, durante i quali le banche hanno acquistato il debito domestico di cui gli stranieri cercavano disperatamente di liberarsi. I rendimenti crescenti hanno permesso alle banche di trarre profitto dal cosiddetto “carry trade” che in certi casi potrebbe avere ritardato la ristrutturazione del modello di business e contribuito alla contrazione degli investimenti in altri settori.
È difficile sostenere che questo tipo di modello sia un giusto punto di riferimento per il futuro a medio e lungo termine e il fatto che le regole di Basilea non differenzino i requisiti di capitale per il debito sovrano a seconda del rischio non è ottimale. In un recente articolo Sapir e Wolff (2013) notano che nella zona euro il mercato interbancario è diventato rapidamente molto integrato dopo l’introduzione della moneta unica, mentre il retail banking rimane in gran parte frammentato lungo linee nazionali. Questa caratteristica ha dimostrato di essere destabilizzante nel contesto della crisi.
Tuttavia, nel breve periodo, questi sono il sistema bancario e le regole che abbiamo. La ponderazione a rischio zero è presente da tempo, e penalizzare le banche ora applicando pesi ex-post sembra difficilmente giustificabile . Senza contare che sulla base dei dati presentati qui, tale penalizzazione colpirebbe soprattutto le banche nei paesi del Sud.
Da un punto di vista più teorico, per sottoporre a stress le partecipazioni del debito pubblico la Bce dovrebbe fare un’ipotesi sull’evoluzione dei rendimenti dei titoli di stato in diversi paesi. Ciò implica definire un “valore di riferimento” per i rendimenti dei titoli di ogni paese nei tempi normali, e un valore sotto stress. Il problema è che non solo questi valori sarebbero inevitabilmente un po’ arbitrari, ma anche (e soprattutto), che la Bce dovrebbe rendere pubblica la sua idea di un rendimento benchmark per ogni Paese, cosa ha rifiutato categoricamente di fare in precedenza per il timore di introdurre dinamiche pericolose sugli stessi rendimenti. Per tutte queste ragioni, cambiare le regole del gioco retroattivamente ha poco senso e una chiara distinzione tra gli obiettivi ottimali di medio termine e le dinamiche transitorie a breve termine è essenziale.