Le aziende americane e europee (incluse quelle italiane) si stanno domandando con crescente insistenza se le disparità fra le politiche domestiche e quelle internazionali in termini di concorrenza e politica industriale le svantaggi nei mercati globali. Le economie emergenti sono accusate di utilizzare le politiche di antitrust e di controllo delle fusioni in maniera difensiva, per imporre sanzioni e restrizioni alle aziende straniere che tentano di entrare nei loro mercati. Questa preoccupazione si è cristallizzata attorno all’approccio della Cina rispetto alle politiche di antitrust e di controllo sulle fusioni. La Cina è infatti la più importante economia emergente e esercita una forte pressione concorrenziale; non solo, vista la sua forte espansione, un crescente numero di società straniere tenta di entrare in questo mercato.
Tuttavia, una analisi dell’applicazione delle regole di antitrust in Cina, a partire dalla data dell’introduzione delle sue leggi anti-monopolio del 2007, non giustifica queste preoccupazioni. Le regole antitrust in Cina sono state utilizzate principalmente per combattere l’inflazione, senza alcuna evidente discriminazione nei confronti delle aziende straniere. Il lavoro dell’autorità incaricata di applicare le regole contro la fissazione dei prezzi, la National Development and Reform Commission, è quello di tenere i prezzi sotto controllo, in particolare nei settori chiave per il consumo di massa. Non c’è da meravigliarsi che i principali casi di cartelli hanno riguardato spaghetti di riso, aglio e latte per bambini. Le autorità antitrust della Cina non hanno cercato di proteggere le imprese nazionali, bensì di proteggere i consumatori domestici, come fanno la maggior parte delle autorità antitrust del mondo. Finora, solo due indagini su cartelli ( LCD a schermo piatto e latte in polvere ) hanno riguardato anche società estere. In più di 30 casi in cui le autorità cinesi hanno applicato sanzioni, solo imprese nazionali sono state coinvolte e nemmeno le imprese statali sono state risparmiate: nel caso del “liquore bianco” due aziende di Stato , Maotai e Wuliangye, sono state sanzionate per aver imposto un prezzo minimo ai propri distributori; attualmente è in corso un’importante indagine sulle pratiche anticoncorrenziali da parte dei più grandi operatori cinesi nelle telecomunicazioni (di proprietà statale), China Telecom e China Unicom. Inoltre, le sanzioni imposte finora dalle autorità cinesi non sono una minaccia per le finanze aziendali: sui casi LCD e latte in polvere le multe in proporzione al fatturato globale delle imprese sono state in media dieci volte inferiori rispetto a quelle solitamente inflitte in Europa dalla Commissione Europea.
Alla luce di quanto descritto nel paragrafo precedente,l’affermazione che le politiche di antitrust cinesi siano un tentativo mascherato di ostacolare la capacità delle società straniere di competere nei mercati cinesi sembra infondata.
Tuttavia, il controllo delle fusioni e acquisizioni in Cina potrebbe essere stato utilizzato per imporre restrizioni alle società estere al fine di proteggere le industrie nazionali. Alle aziende è talvolta stato impedito di perseguire una certa linea di business: per esempio, nel caso WalMart / NiuHai , a WalMart è stato proibito di sfruttare le sinergie nel business “mattoni e malta” per competere in modo più aggressivo nel mercato delle vendite on-line. Sinergie e guadagni di efficienza potrebbero consentire ad alcune società di essere più competitive rispetto alle concorrenti cinesi. Le autorità garanti della concorrenza cinesi sembrano voler evitare che questo accada, privilegiando questo aspetto invece che consentire alcune condizioni di mercato che si tradurrebbero in prezzi più bassi e migliore qualità per i consumatori. Inoltre, le aziende nazionali e di Stato non sono mai state costrette a sottoscrivere alcune condizioni prima di poter portare a termine i loro tentativi di fusione. In un interessante parallelo con ciò che sta accadendo sul fronte antitrust, la fusione del 2008 tra i due più grandi operatori di telecomunicazioni, China Unicom e China Netcom, è stata eseguita senza nemmeno chiedere l’approvazione alle autorità cinesi.
Figura 1 – Applicazione della regolamentazione sulla concorrenza, 2008-2013, numero di decisioni
La Cina dovrebbe trasferire il suo approccio verso l’applicazione delle norme antitrust anche al controllo delle fusioni. Se la Cina mettesse il benessere dei consumatori al centro al momento della valutazione delle fusioni e concentrazioni applicando lo stesso trattamento a tutte le imprese , indipendentemente dalla loro origine, sarebbe allineata agli standard di valutazione della maggior parte dei paesi sviluppati, e anche la sua economia ne trarrebbe beneficio. Proteggendo la concorrenza anziché proteggere i concorrenti, le autorità cinesi darebbero maggiore incentivo all’efficienza. Alla lunga, tutti, inclusa l’industria cinese, beneficerebbero da tale politica. Fino a quel momento le aziende italiane si devono preoccupare delle politiche di controllo su fusioni e acquisizioni, non delle politiche antitrust.