Un nuovo e inaspettato spettro vestito di bianco si aggira lungo le strade della globalizzazione? Sul soglio di Pietro siede un nemico del capitalismo? Il dubbio è diventato un allarme da quando, lo scorso 24 novembre, è stata pubblicato il documento più importante di questi primi nove mesi di pontificato di papa Francesco: l’esortazione apostolica Evangelii Gaudium, nella quale Bergoglio non risparmia critiche sferzanti alla deriva finanziaria dell’economia mondiale e alle conseguenze, giudicate nefaste per i poveri, di una globalizzazione che ha sempre più il volto “dell’indifferenza”. A leggere con crescente preoccupazione il documento sono stati in primo luogo gli economisti liberisti e di area repubblicana nordamericani. A fianco del Papa si è posto il Guardian, lo storico giornale vicino ai laburisti e alla sinistra inglese, e il Washington Post, l’ala liberal americana, anche se con sfumature diverse.
Forbes, la rivista economico-finanziaria americana (che fra l’altro ha inserito papa Francesco fra le dieci personalità più influenti del pianeta), ha dedicato al papa e alle sue idee sul capitalismo globale una serie di articoli, alcuni più argomentati altri dai toni più sarcastici; il senso generale tuttavia era inequivocabile: mettere in guardia l’opinione pubblica circa la nuova dottrina economica che veniva proposta da San Pietro. Il magazine individuava una serie di riferimenti giudicati ‘pericolosi’ nel magistero di Bergoglio: in primis l’ascendenza peronista con la ricerca di “una terza via” fra socialismo e capitalismo; quindi la vicinanza del premio Nobel per l‘economia del 2001 Joseph Stiglitz, con monsignor Marcelo Sanchez Sorondo, altro argentino che in Vaticano ricopre il ruolo di Cancelliere della Pontificia accademia per le scienze sociali. Stiglitz, racconta Forbes, è particolarmente stimato da Sorondo e in generale negli ambienti d’Oltretevere; lo studioso, si sottolinea, è noto per essere un critico severo della globalizzazione e inoltre è stato consigliere di Bill Clinton. Non poteva mancare poi, fra gli addebiti mossi al Papa, l’eccessiva familiarità con la teologia della liberazione di cui sarebbe intrisa l’Evangelii Gaudium. La miscela è dunque esplosiva: terza via populista con molto Stato e poco mercato, prossimità con gli economisti progressisti critici della globalizzazione, e adesione, per quanto mascherata, alla nota teologia della liberazione da sempre critica verso l’iperliberismo.
Da qui una prima chiamata alle armi: il Papa stesso, spiega in un intervento l’economista Alejandro Chafuen, ha detto nella sua esortazione apostolica che un pontefice non può intervenire su ogni aspetto della vita pubblica, e allora i è compito degli economisti laici, magari anche cattolici, cominciare a influire di più sui pronunciamenti del Vaticano e in qualche modo orientarli a favore dell’economia di mercato.
Resta da dire che se Stiglitz è membro di un organismo scientifico del Vaticano, un’altra personalità come Mary Ann Glendon, è presidente della stessa Pontificia accademia per le scienze sociali. La Glendon è un’ex ambasciatrice Usa presso la Santa Sede dell’amministrazione di George W. Bush, ed è anche fra le personalità incaricate da Papa Francesco di progettare la riforma amministrativa ed economica della Santa Sede. Nel recente passato è stata fra gli organizzatori della campagna anti-Obama in vista delle elezioni presidenziali per la Casa Bianca, fece parte di un gruppo di ex ambasciatori Usa in Vaticano che sostennero, anche economicamente, Mitt Romney; alcuni di loro, di recente, hanno poi mosso rilievi al papa troppo critico verso il capitalismo. Insomma il quadro, dalle parti di San Pietro, è sempre un po’ più complesso di quanto non appaia a prima vista.
E tuttavia non c’è dubbio che quella visione bergogliana di un capitalismo globale dal quale scaturiscono ingiustizie e quindi violenze, in cui le disparità sociali crescono, abbia suscitato sorpresa e contestazioni. In Italia Giuliano Ferrara, che pure non risparmia critiche al nuovo papa, ha bollato però come inconsistenti le sparate di alcuni esponenti vicini al ‘Tea party’ – l’ultradestra americana – che hanno voluto vedere in Bergoglio un marxista o una sorta di papa-Obama. La Chiesa, ha commentato Ferrara, i conti con il comunismo li ha fatti e li ha fatti bene.
E però un problema di fondo s’intravede: Forbes, con una certa fermezza, ha difeso il principio della globalizzazione economica e la produzione di beni su vasta scala quali strumenti concreti per la fuoriuscita dalla povertà di milioni di persone, soprattutto in quello che definiamo sud del mondo. Ha fatto di più Walmart (la grande catena di prodotti a basso costo) per i poveri, ha spiegato Bill Frezza sulla rivista, che la Chiesa cattolica o mille madre Teresa. Il Guardian, invece, in un lungo articolo firmato da Haidi Moore, sostiene che il Papa ha finalmente toccato il punto, cioè non tanto il superamento del capitalismo, ma il problema della crescita delle diseguaglianze. In sostanza, si spiega numeri alla mano, l’attuale modello sta producendo distanze sempre più grandi fra un gruppo ristretto di possessori della ricchezza che vedono aumentare i loro introiti anche negli della crisi e il 99% della popolazione il cui reddito è praticamente fermo da quando sono iniziate stagnazione e recessione. Più in generale questa disparità sta aumentando da circa 40 anni. Fra le conseguenza dell’allargarsi della forbice c’è l’aumento della povertà e della spesa pubblica per sostenere i meno abbienti, gli esempi vengono di nuovo dall’America. L’ingiustizia è dunque anche antieconomica. Francesco ha ragione, scrive il Guardian, quando dice che “la diseguaglianza è il principale problema economico del nostro tempo, per tutti non solo per i poveri”.
Insomma la globalizzazione apre nuovi mercati a chi prima ne era escluso ma se non si accompagna con criteri di redistribuzione, con governi democratici, solidarietà, principi etici, provoca ferite laceranti nei corpi sociali. Il Washington Post cerca a sua volta una via di mezzo. E spiega cheil Papa non va interpretato con una chiave solo politica, il suo è un approccio “profetico” ai problemi e quindi anche al tema dell’ingiustizia e degli eccessi dell’individualismo, Bergoglio “non è un neo marxista”. I suoi critici, afferma Tom Krattenmaker, fanno un errore, valutarlo con le lenti “della politica e dell’ideologia americana”. Il primo Papa dell’emisfero del sud del mondo, afferma a sua volta Michael Gerson, si immedesima con gli emarginati, gli sfruttati, i lavoratori, le persone che soffrono a causa della schiavitù sessuale o della tratta, “questo è il lato oscuro dei mercati, la vendita della vita e della dignità”.
Certo appare sempre più evidente con il passare dei mesi che forse la novità più profonda e destinata a lasciare il segno nella scelta compiuta dal conclave nel marzo scorso, è quella di aver portato a Roma un Papa del sud del mondo aprendo così una nuova stagione di crescita per la Chiesa cattolica e in un certo modo riequilibrando, almeno un po’, il peso delle leadership che contano a livello mondiale. Non per caso anche Time ha eletto papa Francesco persona dell’anno.