Il mese di febbraio del 1958 cominciò con il botto, tra i fiori di Sanremo e del suo Festival, con l’aria che si riempiva con le note della melodia della la canzone che diventò il successo più grande della musica italiana, dopo Oh sole mio. Domenico Modugno sul palco, con l’orchestra tutto intorno, l’ugola sfrizzolante, le braccia aperte come ali e tutti insieme a canticchiare il ritornello: Volare oh-oh!
BLU COBALTO E BLU OLTREMARE
Il pittore aveva preparato con cura la sua tavolozza, strizzando i tubetti di colore blu chiaro e blu scuro, blu oltremare e blu di Prussia, blu cobalto e blu notte, più un po’ di ciano, di azzurro, di turchese e di celeste, che non si sa mai. La tavolozza lo attendeva sul cavalletto, i pennelli erano a portata di polpastrello, il dipinto poteva prendere vita.
Aveva dormito di un sonno pensante, il pittore, e l’aria fresca del mattino non gli aveva soffiato via le immagini sognate, che quindi si affrettò a tracciare, prima con rapidi segni di una grossa matita, poi con pennellate sicure a macchie blu così e blu cosà. Nemmeno il caffè, aveva preso, temendo che l’aroma turbasse l’ispirazione.
Ogni tanto, forse per sopire gli ultimi sbadigli del sonno, forse per sgranchire le guance e gli zigomi, forse perché gli era finito un moscerino dalle parti della pupilla, il pittore interrompeva l’opera, posava il pennello e la tavolozza quindi, portate le mani al volto, si massaggiava qua e là, strizzava gli occhi, strofinandoli, e terminava con una carezza, che non guasta mai. Prima di ciò, però, non riteneva opportuno sciacquare le dita, facendo sciogliere e svanire il blu che le aveva macchiate, con il risultato che quel blu si trasferiva sul viso, tra lo sguardo e il sorriso, fin sulla punta del naso.
Poco male: nessuno avrebbe osato interrompere l’opera del pittore e disturbarlo, irrompendo nell’atelier. Nessuno quindi avrebbe osservato quel volto dipinto, accanto al dipinto, dipinto anche lui. Senza pensarci continuò a dipingere, blu sulla tela, blu sulle dita, blu sulla faccia, blu dappertutto.
Gli ci volle l’intera mattinata, per portare a termine quel capolavoro, durante il quale non perse tempo nemmeno per rinfrescarsi il velopendulo con un sorso di limonata o per accendere la radio e ascoltare una canzone. Quasi in apnea, dalla sveglia le pennellate si susseguirono, veloci e decise, fino all’ora di pranzo, alternate soltanto a qualche strofinamento del viso.
E ciò che ne risultò fu un quadro di una bellezza rara, blu dappertutto, di tanti blu così belli e così diversi, uno accanto all’altro, a segnare il ritmo come in una melodia. Il pittore respirò, sospirò, trattenne il fiato, poi respirò di nuovo. Afferrò la tela con entrambe le mani, la sollevò con le braccia tese, la osservò con gli occhi blu in ogni spennellata, poi si guardò intorno alla ricerca di un posto dove collocarlo, che ne valorizzasse ogni cosa.
La parete più spoglia pareva non aspettare altro. Quei metri di bianco sembravano fatti apposta per una tela così. Il pittore afferrò il martello e un chiodo, salì su uno sgabello e, più o meno a due metri dal pavimento, più o meno equidistante da destra e da sinistra, piantò il chiodo con due colpi sicuri e vi appese il quadro, che pareva una finestra su un mondo bello, bellissimo, blu.
E a guardarlo da due metri più indietro, quel quadro era pure più bello e ancora più blu.
Il pittore non perse tempo ad ammirarlo. Afferrò una sedia e la poggiò alla parete, proprio sotto il quadro. Poi prese tre grossi libri e li posò sulla sedia. Di nuovo mise un piede sullo sgabello e l’altro sulla sedia, tenendosi in qualche modo al liscio della pareti. In piedi sulla sedia e sui libri, si affacciò, infilando la testa e la faccia blu nel blu del quadro e… E dopo la testa sporse il busto, tenendosi con le mani alla cornice. In bilico, salì sul bordo del dipinto.
Si guardò intorno, il pittore, un po’ per accertarsi della propria posizione a metà strada tra lo studio e il resto del mondo, un po’ per verificare che non ci fossero sguardi indiscreti a guardarlo lassù.
Fece un profondo respiro, chiuse gli occhi per pochi secondi e, finalmente, si diede una spinta con le gambe e uscì dal quadro, o nel quadro, volando leggero e sicuro in quel cielo che aveva dipinto di blu, come il suo viso e i suoi occhi.
Da allora nulla si sa, di quel pittore e del quadro blu, appeso alla parete, ma c’è chi giura di averlo sentito cantare, volando lassù.
Come tutte le edizioni di cinquant’anni fa e pure qualcosa di più, anche nel 1958 il Festival di Sanremo si tenne nel Salone delle Feste, all’interno del Casinò Municipale. Il celebre Teatro Ariston, infatti, ancora non era stato costruito.
Quell’edizione fu la prima a essere trasmessa in Eurovisione, dalla Germania alla Spagna, dall’Inghilterra alla Francia, anche se il conduttore, che quell’anno era Gianni Agus, continuava tranquillamente a parlare in italiano. Accanto a lui c’era Fulvia Colombo, che quattro anni prima fu la primissima persona ad apparire in tivù, annunciando i primi programmi trasmessi.
Una seconda prima volta ebbe luogo su quel palco, quello stesso anno: la canzone vincitrice, cui è dedicata tutta questa pagina, era stata scritta dal cantante che la portò in gara. In questo modo Domenico Modugno fu il primo cantautore a esibirsi davanti al pubblico di Sanremo e davanti ai televisori e non c’è dubbio che quella prima volta portò a lui e alla sua canzone tanta, ma tanta fortuna.
Tra coloro che hanno fatto proprio il blu dipinto di blu della canzone di Modugno c’è il gruppo franco-spagnolo dei Gipsy Kings, che hanno tradotto un po’ i versi, hanno velocizzato il ritmo, rendendolo ballabile, hanno aggiustato gli spartiti per tutti i loro strumenti e hanno ripetuto a modo loro il successone di cinquantasei anni fa, con il loro Volare del nuovo millennio, che ad ascoltarlo mette molta allegria.
Sarà molto social, il Festival di Sanremo di quest’anno e chissà se ascolteremo via radio, guarderemo in tivù, o seguiremo via Twitter e via Facebook il prossimo successo intergalattico… Per prepararsi al meglio, conoscere i cantanti e le loro proposte, gli orari, i luoghi e tutto il resto, ecco che la Rai ha predisposto una ricca pagina web. Entraci, clicca qua e là, naviga, condividi, canticchia e divertiti.
J. Patrick Lewis – Chagall. Autoritratto con sette dita – Gallucci
È affascinante pensare che un quadro dipinto possa dare l’idea per scrivere una canzone. E che canzone! Allora può essere interessante saperne di più, su questo artista russo con il nome francese, sui suoi violinisti sui tetti, sui contadini volanti, sugli insoliti panorami di Parigi, tutti ricchi di colori che non ti aspetti, spesso blu, ma non per forza. Chissà quante altre immagini sognanti si possono trovare tra le pagine di un libro… Se poi anche tu ne scriverai una canzone, ti aspetto sul palco di Sanremo!
Vincitore del Festival, con la canzone che sarebbe diventata un successo mondiale, da Sanremo a Saturno, fu Domenico Modugno, artista pugliese, con la sua voce squillante e intonata, che allora aveva trent’anni. Della canzone, Modugno è anche autore, insieme con Franco Migliacci.
Pare che un mattino, aprendo la finestra di casa, Modugno fu colpito dalla bella giornata, ma probabilmente anche la pioggia non avrebbe cambiato granché, perché le belle idee, quando ti acchiappano, non ti mollano più. Allora si mise al pianoforte, cominciò a suonare e canticchiare i versi dell’ amico Franco quando, guardando fuori, immaginò di uscirsene volando sempre più su e:
«Vooola-re, oh-oh! – cantò – Cantaaa-re oh-oh-oh-oh!» E il ritornello era servito: due verbi all’infinito e una vocale lunga così, nel blu dipinto di blu. Tanto fu potente, quel ritornello, che quasi da subito il titolo originale diventò per tutti Volare. E non c’è persona al mondo che non l’abbia canticchiata o fischiettata almeno una volta.
Se le note e il ritornello di Volare sono di Domenico Modugno, il resto del testo è stato scritto da Franco Migliacci, che nella vita ha sempre scritto canzoni e, oltre a questo del 1958, vanta un gran bel numero di successi.
Furono alcuni quadri a dargli l’idea. Quadri del pittore russo Marc Chagall, con le tipiche atmosfere sognanti, i colori intensi e le figure surreali e svolazzanti. Spesso i suoi dipinti hanno un cielo blu intenso, che si riflette su ogni cosa e tinge di blu anche gli oggetti tutto intorno. In uno è blu anche una faccia, che diventa insolita, curiosa e intrigante più del solito. Ecco che allora c’è il sogno, che non torna mai più; ecco che ci si dipinge le mani e la faccia di blu; ecco il cielo infinito dove volare ancora più su. La canzone era fatta: mancava solo un bel ritornello orecchiabile e facile da ricordare, ma a quello ci avrebbe pensato l’amico Domenico, dopo di che il successo fu mondiale.
Le prime edizioni del Festival di Sanremo avevano un regolamento diverso da quello di oggi. Si trattava davvero di un festival della canzone, più che dei cantanti, e capitava che un artista prestasse la propria voce a più canzoni. Allo stesso modo, era previsto che la canzone in gara venisse cantata da due cantanti diversi, per poterla valutare in più esibizioni.
Domenico Modugno, concorrendo con Nel blu dipinto di blu, scelse come secondo cantante il giovane Johnny Dorelli, che aveva un timbro di voce decisamente diverso e, quanto a fama, non rischiava di superarlo.
Così fu anche Dorelli, il vincitore di quel festival del Cinquantotto e anche il suo nome è legato alla canzone più volante della storia. Visto il successo, Domenico e Johnny parteciparono insieme anche l’anno successivo e vinsero di nuovo, con la canzone Piove. Poi Dorelli, pur continuando a cantare, indirizzò la propria carriera più verso il cinema, la tivù e il teatro, lasciando libero Modugno di volare lassù.
Il successo di Nel blu dipinto di blu fu mondiale. Nello stesso 1958 vinse il premio Grammy come canzone dell’anno e, a cantarla in inglese, fu chiamata una superstar dell’epoca: Dean Martin, attore e cantante sulla cresta dell’onda.
Ma vallo a spiegare, come si pronuncia il titolo in modo corretto… Ecco allora che Volare diventa Voo-lah-rey e il titolo originale nientemeno che Nell blue deepento dee blue, o deep into the blue, che a leggerlo così non suona nemmeno male, ma qualsiasi insegnante di italiano avrebbe molto da ridire.
E poi lo facciamo anche noi, di canticchiare le canzoni americane senza sapere l’inglese; quindi chiunque può cantare, canticchiare e volare nella lingua che preferisce, nel blu dipinto di blu.