Disse Rob Kalin, fondatore di Etsy, il sito di e-commerce dedicato all’artigianato e al vintage: «Non credo che una recessione ucciderà le buone idee». In effetti, nel il giornalismo e nell’editoria, persino in tempi tumultuosi come questi, le idee non sembrano in crisi. Anche lo spirito imprenditoriale appare più vivo che mai: con cadenza ormai settimanale, un giornalista affermato lascia la propria solida scrivania per lanciarsi in progetti nuovi, ambiziosi e – quale più, quale meno – accompagnati da una buona percentuale di rischio.
Vi abbiamo già raccontato dell’avventura di Andrew Sullivan e del suo The Dish, il blog che ha lasciato gli ormeggi “sicuri” del Daily Beast per sperimentare una forma complessa di autarchia; vi abbiamo parlato della nascita di First Look Media, la nuova avventura editoriale del fondatore di eBay Pierre Omidyar che sarà coordinata da Glenn Greenwald, fuoriuscito dal Guardian; nei giorni scorsi, al novero di ex dipendenti in fuga per la gloria si è aggiunto il 29enne Ezra Klein, che ha mollato il Washington Post per concepire dalle fondamenta una startup editoriale che sarà edita da Vox Media, già alle spalla del fortunato The Verge.
Oggi è il turno di Bill Keller, ex direttore esecutivo (dal 2003 al 2011) del New York Times e attualmente tra i columnist di punta della Old Grey Lady. L’ex corrispondente da Mosca durante la Guerra Fredda ha comunicato l’abbandono del giornale dove ha lavorato per tre decenni annunciando che, alla soglia dei 65 anni, ricomincerà da zero: a lui sarà infatti affidata la direzione di The Marshall Project, un progetto editoriale indipendente e no-profit che si occuperà soprattutto di inchieste legate al sistema di giustizia penale negli Stati Uniti.
L’editore della nuova creatura, che dovrebbe vedere la luce nel secondo trimestre dell’anno in corso, è Neil Barsky, ex manager di un hedge fund e un tempo cronista del Wall Street Journal. Toccherà a lui procacciare i soldi necessari al sostentamento del giornale, che avrà un budget annuale tra i 4 e i 5 milioni di dollari e si doterà di uno staff di 20-25 giornalisti impiegati a tempo pieno. Appunto: dove trovare il denaro? Secondo quanto annunciato fino ad ora, saranno fondazioni e donatori individuali privati a mantenere in piedi l’intera struttura. Niente pubblicità, niente costi per i lettori. Soltanto finanziamenti di varia provenienza, ma senza secondi fini.
«Mi hanno offerto la possibilità di costruire qualcosa da zero, una cosa che non ho mai fatto prima d’ora», ha spiegato Bill Keller. «Useremo tutti gli strumenti che la tecnologia digitale offre ai giornalisti per investigare su argomenti di interesse reale». Come detto, il focus del sito sarà il sistema di giustizia penale, un tema che tocca da vicino molte più persone di quanto si pensi: basti sapere che un americano adulto su 31 vive attualmente in condizione di arresto o di libertà vigilata. Negli intenti preliminari delle menti che stanno plasmando il Marshall Project c’è quello di proporre un’informazione «aggressiva», «rigorosa» e «stimolante», secondo l’ottica di un giornalismo visto come «cane da guardia» della democrazia. Lo scopo è quello di lanciare «un dibattito nazionale sul sistema penale».
Un ritorno al contenuto, oltretutto su un tema specifico e tutt’altro che facile da maneggiare. Con obiettivi precisi e specifici, come quello di contribuire all’introduzione di riforme nazionali e di premere sull’opinione pubblica. The Marshall Project non nasce per essere gradito a tutti, e la scelta di porre Keller alla guida del progetto va in questo senso: David Carr ci litigò, Assange ringraziò Dio di «non essere un giornalista alla Bill Keller». Restiamo dunque in attesa di questa nuova avventura, ennesimo esperimento di un sistema – quello dell’informazione – che almeno negli USA sta guardando nel baratro senza paura: ricostruire è meglio che curare. Il tempo, alla fine, ci darà i suoi inappellabili giudizi.