È stato capace di bloccare l’intera Sanremo per due giorni. Lui, Giuseppe Piero Grillo, più conosciuto come Beppe, voleva fare le cose in grande stile e così è stato. Arrivato in gran segreto nella cittadina rivierasca, ha catalizzato su di esso l’attenzione di tutti i media. Addio scalette, arrivederci programmazione. L’unica star era lui. E dire che doveva esserci la prima serata del 64esimo Festival della canzone italiana. Solo in pochi se ne sono accorti, però. L’incontenibile energia di Grillo ha pervaso l’Ariston. Ed è stato un incredibile assist per quella che, negli ambienti Rai, dicono già che sia stata la prima serata più vista degli ultimi anni. Difficile dubitarne.
Quale occasione più ghiotta del Festival? Grillo, ma anche la Rai, sapevano che sarebbe stato un successo in ogni caso. Un gioco win-win, in cui tutti vincono e tutti sono contenti. Il meccanismo è semplice: prima si lascia trapelare l’informazione come un rumor, poi lo lasci crescere grazie alla incredibile viralità delle informazioni trasmesse dai network del Movimento 5 Stelle, infine attendi il risultato finale, non senza aver rimarcato una qualche sorta di censura preventiva nei confronti del personaggio scomodo. Così, in pochi semplici passaggi, si può riassumere il caso “Beppe Grillo a Sanremo”, montato negli ultimi due giorni dopo un tam-tam fatto di “si dice”, “qualcuno mi ha detto che”, “fonti Rai affermano che” e chi più ne ha più ne metta. L’attenzione mediatica era tanta. E tutto ha giovato al Festival. Lui, Beppe, non si è tirato indietro. E se nella sala stampa qualcuno parla di operazione costruita ad hoc, dalla Rai escludono qualunque tipo di complotto: «I biglietti sono stati comprati regolarmente, e si è presentato qui come un normale cittadino». Non fa una piega. Infatti le stesse parole sono state pronunciate dal leader del Movimento 5 Stelle. L’importante è il risultato, ovvero l’incredibile performance mediatica ottenuta. E chissenefrega se alla fine Grillo ha attaccato tutti i vertici della Rai, se ha spiegato (o meglio, urlato) che la Rai non è un servizio pubblico. Grida, insulti, ressa: tutti gli ingredienti hanno permesso a Grillo di guadagnare la scena con un comizio a tutti gli effetti. Il terzo festival targato Fabio Fazio si è aperto così, in modo assai politico. In pratica, tra la genesi del governo di Matteo Renzi e l’arrivo dell’ex comico genovese. Fazio ha lavorato come sempre, agendo più di carota che di bastone e stando sul palco a modo suo, cioè fin troppo perbene. E sulla stessa onda è stata Luciana Littizzetto, che è sembrata quasi impietrita di fronte alla tracotanza di Grillo. Peccato.
Poi ci sono state anche le canzoni. Ah, già: le canzoni. Francamente, tanto nella sala stampa dell’Ariston quanto nella sala stampa Lucio Dalla del Palafiori, in pochi si son soffermati ad ascoltare le canzoni. Eppure, ci sono state delle piccole perle. Ma partiamo dal principio. Alla vigilia i tre grandi favoriti – rumoreggiavano le sala stampa – erano Arisa, Cristiano De Andrè e Raphael Gualazzi. Sostanzialmente maturata la prima, meno irrequieto il secondo, più jazz che mai il terzo, tutti e tre hanno tenuto il palco come mai nella loro carriera. Un’ottima rivincita per tutti coloro i quali non apprezzano i talent show come X-Factor. Il più rispettato, almeno dalla sala stampa del Palafiori (quella più giovane), è stato Francesco Di Gesù, cioè Frankie Hi Nrg. Se pensiamo che il momento topico, dal punto di vista musicale, è stato quello con Raffaella Carrà che ha cantato Fatalità, il quadro è completo. Insomma, qualità piuttosto bassa rispetto agli ultimi anni, poca sperimentazione, pochi rischi. Insomma, sono lontanissimi i tempi dei Subsonica. Ma pure quelli dei Bluvertigo o dei Quintorigo. In realtà ci saremmo anche accontentati di avere qualcosa di anche solo paragonabile agli Afterhours. Niente di niente. Chi vincerà? Probabilmente De Andrè.
Per il resto, gli stacchetti fra Fazio e Littizzetto sono stati, senza ombra di dubbio, il momento più basso del Festival. Ma non solo della 64esima edizione. No, delle ultime cinque. A tal punto che perfino Grillo, intorno alle 22:25, è uscito dall’Ariston. Noia? Forse. Del resto, a fronte dell’austerity presente in Rai, e forse anche del logorio di un rapporto professionale che fatica a rinnovarsi, era difficile attendersi di più. Battute vecchie, scontate, poco incisive. Il momento più basso? Fazio e Laetitia Casta che ripropongono Les Feuilles mortes di Jacques Prévert. Improponibile. Non è un caso che il momento più significativo sia stata la protesta iniziale di due lavoratori disoccupati, che hanno minacciato di lanciarsi dalla balaustra dell’Ariston. Proprio come successo con Pippo Baudo nel 1995, quando salvò Giuseppe Pagano. Sullo sfondo di oggi, però, c’è altro. Un Paese stremato, affaticato, tirato. E di certo l’esasperazione dei toni usata da Grillo non ha aiutato. Un peccato che da festival della canzone italiana Sanremo si sia trasformato in un triste teatrino che altro non è che lo specchio di un Paese con sempre meno futuro.
PS: alla fine sia Grillo sia la Rai hanno avuto ciò che volevano, ovvero guadagnare il massimo della visibilità con il minimo sforzo. Tutto normale, no?