L’edificio che ha rischiato di crollare su Manhattan

L'edificio che ha rischiato di crollare su Manhattan

Questa è una storia vecchia. Parla di un edificio costruito nel 1977 ed è stata raccontata per la prima volta sul New Yorker da Joe Morgenstern nel 1995. Ha ricominciato a circolare perché un popolare podcast statunitense di design e architettura, 99% invisibile, l’ha raccontata reintervistando alcuni dei protagonisti. È una storia bellissima di architettura e di ingegneria, di problemi e soluzioni, di un edificio e di una domanda che l’ha salvato dal cascare sopra mezza Manhattan. Non è mai stata raccontata in italiano e abbiamo deciso di farlo noi.

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Il Citigroup Center (al tempo noto come Citicorp Center) è stato costruito in tre anni, dal 1974 al 1977, è alto 279 metri, ha 59 piani ed è stato per molto tempo la sede principale della più grande azienda di servizi finanziari del mondo: la Citigroup. È un piccolo gioiello di architettura e, ancora più, di ingegneria. Se lo si guarda da lontano, il grattacielo salta subito all’occhio anche nel mezzo della affollata skyline di New York per via di un particolarissimo tetto spiovente a 45 gradi. E se lo si guarda da vicino, l’edificio è ancora più incredibile, perché è sollevato da terra da quattro colonne di 35 metri che sostengono l’intero palazzo (su Street View la vista è abbastanza mozzafiato).

Questo gigantesco edificio ha rischiato di cadere sopra Manatthan. E probabilmente l’avrebbe fatto se Diane Hartley, studentessa al lavoro su una tesi di laurea sul Citigroup Center, nel 1978 non avesse chiamato lo studio di architettura che l’aveva progettato per fare un paio di domande riguardo a dei calcoli che non le tornavano.

Per capire come è andata la faccenda, però, bisogna prima capire perché il Citigroup Center è stato costruito come è stato costruito e quali problemi sono stati superati per tirarlo in piedi, ancor prima che per tenerlo in piedi.

Problema numero uno: una chiesa. Il Citigroup Center sovrasta un intero quartiere e Citigroup ha speso quasi quaranta miliardi di dollari per comprare tutto il terreno su cui sarebbe stato costruito l’edificio, o quasi tutto. Esattamente su uno degli angoli su cui sarebbe sorto il palazzo c’era una vecchia chiesa gotica che accettò di vendere il terreno solo ad alcune condizioni: volevano che la chiesa fosse ricostruita sullo stesso angolo del quartiere e che la struttura del Citigroup Center non fosse connessa in alcun modo alla chiesa, neanche con una colonna.
Soluzione numero uno: la chiesa venne distrutta e ricostruita (la si vede anche su Street View, è il piccolo edificio grigio sulla destra) e per rispettare gli accordi si sollevò l’intero palazzo su quattro pilastri di trentacinque metri.

Problema numero due: dove mettere i pilastri? Dal punto di vista ingegneristico, i pilastri dovrebbero stare sugli angoli del palazzo: è lì che si scaricano le forze e i pesi della struttura. Esattamente sotto un angolo del futuro Citigroup Center, però, c’era la chiesa.
Soluzione numero due: mettere i pilastri al centro delle facciate del palazzo invece che sugli angoli. Per farlo, William LeMessurier (ingegnere al lavoro sul palazzo e protagonista di questa storia) si inventò un’innovativa struttura di travi a forma di “V” che scaricano le forze in gioco sul palazzo verso le colonne piazzate al centro delle facciate invece che sugli angoli. LeMessurier era così fiero della sua idea che cercò di convincere l’architetto del palazzo, Hugh Stubbins, a mostrare questa struttura di travi portandola all’esterno. Lui, per fortuna, non ne volle sapere.

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Problema numero tre: il vento. Il Citigroup Center è un grattacielo di 59 piani, sollevato per trentacinque metri da terra da quattro enormi colonne e da un piccolo corpo centrale, con una struttura portante (le travi a “V”) mai vista prima. Tutti i grattacieli devono fare i conti con il vento, ma il Citigroup Center deve farci particolare attenzione. Soluzione numero tre: in cima al Citigroup Center c’è una cosa che si chiama mass dumper, o assorbitore armonico. È una massa di calcestruzzo di quattrocento tonnellate (più o meno quanto può portare uno di quegli enormi camion da cava che si vedono solo nei film) che, sollevata da enormi molle, serve a compensare le vibrazioni e gli spostamenti dovuti al venti. Il Citigroup Center è stato uno dei primi edifici al mondo ad averne uno.

I rischi causati dai venti, dunque, erano stati presi in considerazione nella costruzione del Citigroup Center. Ma non tutti.

A questo punto, la storia viene raccontata in modi diversi dalle persone che l’hanno vissuta. William LeMessurier dice al New Yorker di aver ricevuto la telefonata di uno studente che chiedeva informazioni riguardo alla resistenza del palazzo al vento. Mentre Diane Hartley, la studentessa che nel 1978 telefonò per chiedere informazioni sui calcoli fatti per il palazzo, dice al podcast 99% Invisible di non aver mai parlato con LeMessurier direttamente, ma con un assistente. In ogni modo, in qualche modo, a LeMessurier viene messa la pulce nell’orecchio che i calcoli fatti per assicurare la resistenza della struttura del Citigroup Center fossero sbagliati. E si mette a verificarli.

I calcoli sul vento perpendicolare, il vento che colpisce un palazzo andandoci a sbattere contro con un angolo di 90 gradi, sono gli unici richiesti dal regolamento edilizio della città di New York. Dopo averli controllati, LeMessurier conferma che quelli fatti da lui e dal suo studio erano corretti. Giusto per scrupolo, però, LeMessurier si mette a verificare anche quelli per i venti diagonali, i venti che colpiscono il palazzo con un angolo di 45 gradi, non richiesti dal regolamento edilizio e praticamente mai presi in considerazione nel caso di edifici rettangolari come il Citigroup Center. E qui qualcosa non torna.

Problema numero quattro: il vento diagonale. Se la struttura del Citigroup Center fosse stata realizzata come era stata progettata, con le travi a “V” che la sostengono saldate tra di loro, non ci sarebbe stato nessun problema. Il palazzo avrebbe potuto resistere tranquillamente a qualsiasi vento diagonale. Ma le travi della struttura non erano state saldate, erano state bullonate. La Bethlehem Steel, la società che si era occupata della struttura, aveva detto che l’operazione sarebbe stata più facile e meno costosa con le travi bullonate e che, in ogni caso, gli angoli saldati non avrebbero aggiunto nulla alla stabilità del palazzo. Ed era vero, almeno secondo i calcoli fatti fino a quel momento.

LeMessurier fa rifare i calcoli di tenuta e prova anche a simulare la resistenza del palazzo in una galleria del vento. Scopre che, nel caso di venti molto forti, per il Citigroup Center le cose non si sarebbero messe per niente bene. Il palazzo sarebbe persino potuto crollare, scatenando un effetto domino su Manhattan. Statistiche alla mano, controlla quante possibilità ci sono che su New York si abbatta un uragano così forte da far crollare il palazzo. E scopre che, in media, c’è una tempesta del genere ogni sedici anni. È il luglio del 1978 e la stagione degli uragani sta giusto per cominciare.

LeMessurier racconta candidamente al New Yorker che a questo punto si è reso conto di avere due opzioni davanti: provare a sistemare il problema oppure… suicidarsi. Il senso di potere, però, aveva preso il sopravvento. LeMessurier aveva in mano delle informazioni che nessun altro al mondo aveva e «il potere di mettere in modo degli eventi straordinari che solo [lui] poteva mettere in moto» per risolvere la cosa.

Soluzione numero quattro: informare Citigroup e sistemare il palazzo. Ricevuta l’informazione, i più alti dirigenti della società si misero subito al lavoro per risolvere i problemi del palazzo. Fortunatamente, grazie alla scelta di Hugh Stubbins di mantenere la struttura di travi all’interno dell’edificio invece che all’esterno, rinforzarne la tenuta non era un lavoro così difficile. Costoso, certo, ma non impossibile. Naturalmente però, non bastava assicurarsi che il palazzo fosse rinforzato nel minor tempo possibile. Ora che si conosceva il rischio, bisognava anche cercare di rendere l’operazione più sicura possibile per tutti, specialmente visto il sempre più probabile arrivo di uragani.

(Foto di Antonio Campoy Ederra, pubblicata su Flickr sotto licenza creative commons by 2.0)

Problema numero cinque: prepararsi al peggio.
Soluzione numero cinque: Citigroup e LeMessurier misero velocemente insieme una squadra che assicurasse che il palazzo e i cittadini non corressero pericoli. Il meteo veniva controllato ventiquattrore su ventiquattro per potersi muovere velocemente nel caso di segnalazione di uragano, fu assemblato un team di tecnici che controllassero costantemente il funzionamento dell’assorbitore armonico in cima al palazzo, ma soprattutto venne creato un piano di emergenza in collaborazione con la Croce Rossa, la polizia e il comune di New York per evacuare il palazzo e il quartiere nel caso di pericolo. Il piano non venne mai rivelato al pubblico, ma per i tre mesi necessari a mettere in sicurezza il Citigroup Center era sempre pronto a entrare in azione.

Anche se poteva tenere nascosto al pubblico il piano d’emergenza, Citigroup non poteva fare altrettanto con l’enorme lavoro di ristrutturazione del Citigroup Center, un edificio che era stato completato soltanto un anno prima.

Problema numero sei: dirlo alla stampa. Un avvocato di Citigroup preparò un vaghissimo comunicato stampa in cui annunciava che gli ingegneri che avevano lavorato al palazzo avevano suggerito di rafforzarne la struttura, rassicurando sulla totale assenza di pericoli. Uscirono un paio di articoletti vaghi quanto il comunicato ma qualcuno si accorse che la storia non tornava. Un giornalista di Time cercò di contattare LeMessurier per farsi spiegare in cosa consistevano esattamente i lavori. Quando LeMessurier lo richiamò, preparandosi a dover spiegare che il palazzo effettivamente rischiava di crollare, scoprì di essere stato molto fortunato.
Fortunata coincidenza numero uno: esattamente quella sera, infatti, i giornalisti di New York (compresi quelli di Time) iniziarono uno sciopero che finì per durare diverse settimane. Alla fine, nessuno più fece domande sul comunicato stampa di Citigroup.

Nel frattempo i lavori di ristrutturazione del palazzo iniziarono. Di giorno il Citigroup Center era un normalissimo edificio di una società finanziaria e di notte si trasformava in un cantiere. Partendo dai piani più a rischio, gli operai iniziarono a saldare e rinforzare le travi, lavorando sette giorni a settimana senza sosta. LeMessurier ricorda sul New Yorker che «fu un mese molto intenso. Calcolavo continuamente quali strutture rinforzare, quale piano dell’edificio era più a rischio e continuavo a preparare tabelle e grafici per capire le conseguenze dei lavori» e capire a quale tipo di uragano avrebbe potuto resistere l’edificio.

Problema numero sette: l’uragano Ella. A metà delle operazioni di ristrutturazione, il servizio meteorologico segnalò l’avvicinarsi di un uragano, soprannominato Ella. L’edificio era più solido di prima, ma nessuno sapeva quanto sarebbe stata forte Ella quando avrebbe toccato le coste di New York. «Nessuno disse “dobbiamo dare l’allarme”», ricorda LeMessurier sul New Yorker, «nessuno osò dirlo. Ma stavamo tutti sudando sangue». Per fortuna non fu necessario.
Fortunata coincidenza numero due: Ella, non raggiunse mai New York. Prima di colpire le coste degli Stati Uniti, infatti, l’uragano virò di novanta gradi e andò piano piano a spegnersi nel mezzo dell’Atlantico. Il piano di emergenza non entrò mai in azione, le operazioni al Citigroup Center furono completate e praticamente nessuno, a parte le poche decine di persone coinvolte nei lavori, scoprì questa storia fino al 1995 quando Joe Morgenstern la sentì raccontare da LeMessurier a una festa e la fece finire sul New Yorker.

Dal 1978 a oggi, il Citigroup Center ha resistito a decine di tempeste ed è ancora lì, sulle sue incredibili quattro colonne e sulla sua incredibile struttura di travi a “V”. E, nonostante le critiche che sono inevitabilmente arrivate a William LeMessurier per la sua negligenza, questa storia è diventata un caso studio per l’etica lavorativa in molti libri di testo di ingegneria. Oltre che un bel ricordo per una studentessa che, con una semplice domanda, ha salvato migliaia di vite.

Foto di copertina di paulkhor, pubblicata sotto licenza creative commons by 2.0.

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