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Flessibilità, il mito infranto del lavoro in Italia
Da molti decenni si discute in Italia di riforme del mercato del lavoro. Le riforme proposte e realizzate si sono concentrate soprattutto sugli aspetti che riguardano la flessibilità: la disciplina della cosiddetta mobilità in entrata ed in uscita, i costi ed i tempi dei licenziamenti e delle assunzioni, il dibattito sull’articolo 18, le forme contrattuali più idonee. Le proposte di riforma oggi al centro del dibattito politico, il Jobs Act di Renzi, riguardano ancora una volta le forme contrattuali più idonee a coniugare flessibilità e tutele dei lavoratori.
Il presupposto economico di queste riforme è che si debba favorire un mercato in cui i lavoratori che perdono il posto nelle imprese e nei settori meno produttivi, e i giovani che si affacciano sul mondo del lavoro, possano rapidamente trovare un impiego nelle imprese e nei settori più produttivi, quelli in espansione. In questo modo, si tutelano i lavoratori ma non gli impieghi improduttivi, e si stimola la crescita della produttività del lavoro.
Se guardiamo però ai risultati che le riforme sino a qui messe in atto hanno avuto sulla produttività del lavoro il quadro è sconfortante. In questo dossier sosteniamo che le precedenti riforme del mercato del lavoro, concentrandosi principalmente sugli aspetti legati alla flessibilità, hanno trascurato un aspetto cruciale: quello degli incentivi.