Sono state presentate ieri, 6 maggio, le nuove previsioni macroeconomiche dell’Ocse, le quali, nonostante l’ottimismo espresso dal governo, non sono certo beneauguranti per l’Italia. La previsione di crescita del Pil è rivista al ribasso, dallo 0,6% allo 0,5%, mentre nel 2015 si supererà di poco, secondo l’organizzazione parigina, una crescita risicata dell’1 per cento. Se si confrontano queste cifre con gli altri partner della zona euro in difficoltà, si nota bene come l’Italia sarà fanalino di coda della crescita nei due anni a venire, come lo è da metà anni ’90, ricordiamolo bene.
I numeri più preoccupanti sono quelli dal lato dell’offerta. Il Pil potenziale, ovvero di quanto teoricamente crescerebbe l’economia con il pieno utilizzo dei fattori lavoro e capitale, è al palo, rimanendo immuatata nel 2014 e crescendo di un mero 0,3% nel 2015. Confrontato con Spagna, Irlanda e Portogallo, che certamente non se la passano benissimo, la situazione non potrebbe essere più fosca. La competitività, misurata dal costo del lavoro, sia orario che in rapporto alla produttività del lavoro, sebbene in miglioramento rispetto agli anni precedenti è, relativamente agli altri paesi, ancora in fase di discronia. La causa sta nella dinamica delle retribuzioni orarie, che non paiono avere intenzione di aggiustarsi allo shock negativo della produttività subito negli anni precedenti. Non mancheremo mai di sottolinearlo: non vi è alcuna deflazione interna in italia. I dati parlano chiaro: i nostri problemi, e non da oggi, sono più strutturali che ciclici. L’ultima recessione ha solo aggravato un trend di lungo periodo, che vede la struttura produttiva del paese in una fase di declino drammatico.