LONDRA – Un goal dell’Inghilterra vale 198,5 milioni di sterline. Birre, barbecue, magliette, bandiere: i commercianti d’Oltremanica si stanno mangiando le mani pensando all’eliminazione di Gerrard e compagni, che scenderanno in campo oggi contro la capolista Costa Rica per l’ultima volta prima di lasciare il sole brasileiro. A calcolarlo è il Centre for Retail Research di Nottingham per conto di VoucherCodes, una specie di Groupon con 7,7 milioni di clienti registrati.
La ricerca – ripresa dall’Observer e dal Telegraph – è basata su interviste a 605 inglesi, rappresentanti di tutta la popolazione britannica, e su un questionario sottoposto a 40 negozi, che pesano per il 18% dei ricavi delle vendite al dettaglio dell’isola. Se gli uomini di Roy Hodgson avessero passato il turno, dice l’indagine, la spesa per l’acquisto di televisori con schermo ad alta definizione avrebbe toccato i 255 milioni, raggiungendo i 475 milioni se Rooney fosse riuscito a portare i suoi compagni in finale.
In quest’ultima ipotesi, gli inglesi si sarebbero scolati al Pub altri 431 milioni di sterline, spendendo 429 milioni di sterline complessivi per comprarsi la maglietta dei loro beniamini. Altri 367 milioni sarebbero finiti nelle tasche dei servizi online per ordinare cibo da asporto, per non perdere nell’intervallo le considerazioni tecniche di Seedorf, Rio Ferdinand e Henry sulla Bbc, o al limite quello di Fabio Cannavaro su Itv. Insomma, se l’Inghilterra avesse raggiunto la finale per la prima volta dal 1966, anno in cui vinse la Coppa del Mondo, gli inglesi avrebbero speso qualcosa come 2,58 miliardi di sterline, di cui un miliardo per birra e salamella.
Peccato, non è andata così. Ciò nonostante, i sudditi di Sua Maestà si possono consolare: stando al World Economic Outlook del Fondo monetario internazionale, il Pil aumenterà del 2,9% quest’anno – con una sana inflazione al 2% – e segnerà più 2,5% nel 2015. Al contrario di quello italiano, che salirà di un flebile 0,6% nel 2014 e dell’1,1% nel 2015, con un’inflazione in aumento appena dello 0,5% su base annua. Sale solo il nostro debito pubblico, ormai al 132,6% del Pil.
Per questo oggi gli Azzurri devono vincere contro l’Uruguay. Se nessuno si è preso la briga di calcolare il controvalore in birre e pizzette dei goal di Marchisio e Balotelli, la banca d’affari Goldman Sachs ha scovato una correlazione tra l’andamento della Nazionale e quello del Ftse Mib, il principale listino della piazza milanese. Nel consueto report che Goldman, come tutte le merchant bank, scrive in occasione del mondiale (degna di nota la figura barbina di Deutsche Bank, il cui modello prevedeva il trionfo dell’Inghilterra) gli economisti Francesco Garzarelli e Silvia Ardagna spiegano che, in media, nel luglio 1982 e in quello del 2006 – le nostre ultime due stelline sulla maglia azzurra – il mercato italiano ha regalato agli investitori un ritorno del 3% rispetto al mese precedente. A onor del vero, quando l’Italia si è qualificata per le semifinali o ha vinto, anche i rendimenti dei Btp sono saliti, ma questa purtroppo non è una buona notizia per i contribuenti. «Se l’Italia batterà le previsioni, i compratori degli asset italiani godranno», è la conclusione dei due economisti.
L’istituto olandese Abn Amro ha invece evidenziato come la vittoria del 2006 abbia apportato un beneficio dello 0,2% al Pil. Se, va specificato, le correlazioni tra calcio e finanza non hanno alcuna base scientifica, c’è un indicatore che – qualora riuscissimo ad arginare Suarez e Cavani – va osservato da vicino. È la fiducia dei consumatori, che a maggio ha raggiunto i 106,3 punti (2005=100 punti), livello più alto dal gennaio 2010 e terzo rialzo mensile consecutivo.
Scorporando il dato, tuttavia, si scopre che: «La componente economica e quella personale aumentano; la prima in misura più consistente, raggiungendo il valore di 118,1 da 115,3, la seconda cresce a 102,0 da 100,6 del mese precedente». Tradizionalmente, l’asticella tra ottimismo e pessimismo è fissata a 100 punti. Ciò significa che se l’effetto Renzi si fa ancora sentire, quando gli italiani guardano alle proprie tasche sono molto meno propensi a pensare positivo. Tant’è che, rileva l’Istat, «L’indice riferito al clima corrente aumenta a 104,6 da 101,6 mentre quello relativo alla componente futura diminuisce lievemente a 108,9 da 109,4».
Non a caso, rilevava l’Isae all’epoca, l’indice destagionalizzato della fiducia dei consumatori nel luglio 2006 era salito dai 106,9 punti di giugno a quota 108,7, ritornando ai livelli di marzo 2006, trainato dal cambiamento dei giudizi sulla situazione economica a breve termine, «che potrebbero aver risentito positivamente del clima di euforia legato ai recenti eventi sportivi».
Quando ieri Cesare Prandelli ha definito la partita come «la più importante della mia carriera» sicuramente non pensava alla macroeconomia. Eppure, un po’ di fiducia che spinga gli italiani a scialare quel tanto che basta a far salire l’inflazione e rendere il debito pubblico più sostenibile allontanerebbe la deflazione. Fortunatamente, male che vada c’è un altro italiano a metterci una pezza: Mario Draghi.