Se dovessimo esprimere con un concetto il significato del termine “era digitale”, potremmo far riferimento all’esempio fatto da Juan Carlos de Martin in un articolo pubblicato qualche tempo fa su “La Stampa” relativo al dominio dei social network nella nostra epoca. L’informatico argentino ha notato come ci siano voluti 126 anni dall’invenzione del telefono per avere un miliardo di utenti ma solamente 8 anni per raggiungere la stessa cifra di iscritti a Facebook. Il dato in questione mostra prima di tutto la capacità di crescita estremamente rapida dei meccanismi comunicativi contemporanei, ma, essendo Facebook solo uno dei tanti strumenti di comunicazione a disposizione delle persone, ci pone anche davanti ad un serio interrogativo: di fronte al progressivo aumento delle possibilità di consumo di media da parte degli utenti, siamo di fronte ad una situazione che potremmo definire di “sovrabbondanza comunicativa permanente”?
A provare a dare una risposta esaustiva a un quesito di questo genere ci ha provato Marco Gui — docente di sociologia della cultura e dei media all’Università di Milano-Bicocca — nel suo libro “A dieta di media. Comunicazione e qualità della vita”. Il testo offre un parallelismo fra il fenomeno dell’obesità (inteso come crescita della massa corporea), che ha preso piede all’inizio del XX secolo in seguito all’industrializzazione applicata alla produzione alimentare, e quello dell’aumento esponenziale delle possibilità di consumo mediale frutto di un proliferare di strumenti di comunicazione di massa senza precedenti. Un testo che tra le altre cose presenta al lettore i primi risultati di una ricerca internazionale sui problemi che deve affrontare chi usa i media oggi, a causa di una condizione di sovrabbondanza.
Più uno strumento offre in termini di potenzialità, maggiori sono anche i rischi che il suo uso comporta. Internet e i media digitali non fanno eccezione a questa regola
È abbastanza facile notare come l’argomento sia di stretta attualità, basterebbe soltanto che ognuno di noi prendesse appunti sulle attività che svolge durante una giornata qualunque, per rendersi conto di come sia noi che chi ci sta intorno spendiamo una quantità di tempo enorme a contatto con i media. Secondo una recente ricerca statunitense — si legge nel testo — il tempo della giornata in cui consumiamo informazione supera in media le 11 ore giornaliere. Un tempo in cui ci relazioniamo con gli strumenti più diversi, smartphone, tablet, computer, consolle, che ci permettono di lavorare, studiare, relazionarci o semplicemente svagarci. Per capire la portata di questo fenomeno è sufficiente pensare, per esempio, a come siano cambiati gli atteggiamenti degli spettatori durante un qualsivoglia concerto. La quantità di telefonini utilizzati per riprendere la scena è ormai un’immagine ricorrente nella maggior parte degli eventi musicali.
Tuttavia il rovescio della medaglia è che la maggior parte delle persone che mette in atto comportamenti di questo tipo, non si preoccupa del ruolo svolto dai media nella loro vita. Si sente la necessità piuttosto di stare al passo con l’ultima applicazione messa sul mercato, di entrare in possesso del dispositivo più aggiornato, senza valutare quale impatto abbiano questi strumenti sulla qualità della nostra vita.
“La connettività permanente, l’enorme mole di informazioni a disposizione, l’interattività in tempo reale, le applicazioni per la collaborazione e la socialità sono tutte enormi opportunità. Ma l’esperienza ci insegna che non esistono strumenti che siano benefici comunque, anche se usati senza una consapevolezza critica. Anzi di solito, più uno strumento offre in termini di potenzialità, maggiori sono anche i rischi che il suo uso comporta. Internet e i media digitali non fanno eccezione a questa regola”.
Quali sono quindi gli accorgimenti da mettere in atto, per evitare di andare incontro al fenomeno della cosiddetta obesità mediale? Secondo l’analisi di Marco Gui, in questa direzione vanno affrontate principalmente quattro problematiche: per prima cosa va affrontata la necessità di limitare l’utilizzo dei media, ovvero contenere la quantità di esposizione ai mezzi di comunicazione multimediale; venire in contro poi alle difficoltà di scelta dei contenuti di qualità; riuscire a concentrarsi nel dirigere in maniera continuativa la nostra attenzione verso gli obiettivi che ci siamo prefissati; e infine non cadere nelle contraddizioni della gestione delle relazioni interpersonali in un contesto di sovrabbondanza di canali comunicativi.
Senza cadere nella trappola della semplicistica distinzione tra apocalittici e integrati, il testo si propone di ricercare una terza via non necessariamente legata alla realizzazione di un giudizio di sorta, o a cercare a tutti i costi di interrogarsi sulle conseguenze negative dei media. Ma piuttosto rendersi conto di come l’esperienza insegnerà anche agli esperti di settore quale sia il migliore utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione, cercando di limitare per quel che si può la continua raggiungibilità delle persone alla comunicazione. In tal modo si potrà garantire il mantenimento di momenti di stacco durante la giornata.