Perché non c’è innovazione nel mercato del credito

Perché non c’è innovazione nel mercato del credito

A giudicare da qualche titolo di quotidiano ottimistico il sistema Italia si deve mettere interamente nelle mani di Draghi e della Bce per raddrizzare i flussi di credito alle imprese. Ora si guarda alle operazioni Tltro per sistemare una barca cha fa acqua da oramai quattro anni. Purtroppo i pareri dei tecnici sono meno entusiastici sulla destinazione della liquidità che arriverà alle banche (da leggere quanto scrive Baglioni su LaVoce.info) e anche la mia sensazione resta di una soluzione destinata a portare acqua dove non c’è problema di liquidità.

Allora la domanda che pongo è “perché non sono bastati quattro anni di crisi del credito, di crescita incontrollata dei crediti deteriorati (vedi grafico su incagli e sofferenze), per fare sì che Stato, banche e tutori delle imprese trovassero soluzioni più innovative per aggiustare un meccanismo palesemente inceppato e fallace?.  La realtà è che il sistema in questi quattro anni ha prodotto poco o nulla in termini di nuove idee ed è persino riuscito a distorcere quelle esistenti. A cominciare dalla ripetizione sfiatata della moratoria, che per le imprese e per il rischio di credito si è dimostrata quasi sempre un’aspirina breve e inefficace, per proseguire con le maggiori dotazioni al fondo comune di garanzia servite più ad abbattere il costo del capitale delle banche che a finanziare imprese in temporanea difficoltà, per arrivare all’ultima distorsione: la garanzia dello Stato sulle singole emissioni di minibond di Pmi, su cui si è espresso in modo chiaro con ampie riserve il duo Cherubini-Esposito su LaVoce.info di oggi.

Di vera, brillante innovazione strutturale da applicare al circuito del credito alle imprese si è visto uno zero assoluto. Eppure qualcuno ci ha provato – e non mi riferisco tanto alle proposte disperse negli articoli di questo blog – ma non è mai stato seriamente ascoltato. Il tavolo del credito non è mai esistito, non è partito e poi si è fermato come tutte le altre riforme, non è proprio partito.

Le proposte sono anche arrivate ma sono rimaste lettera morta. Mi riferisco, per fare due esempi, a lavori presentati da Action Institute nel luglio 2013 (“Migliorare l’accesso al Credito delle Pmi attraverso un “Credit Enhancement” di sistema) e più recentemente da The European House-Ambrosetti nella sua Lettera 58 di giugno (“Rafforzare le imprese italiane e attirare nuova finanza). Vi suggerisco la lettura perché entrambe contengono idee fresche, articolate e ben strutturate, pronte per essere esaminate, discusse e modificate secondo il principio che dovrebbe guidare tutti: il salvataggio di una quota rilevante di piccole e medie imprese che stanno attraversando difficoltà finanziarie, ma che contengono ancora tutti i presupposti per una ripartenza. Là avrebbe dovuto collocarsi l’analisi del problema, anche e soprattutto da parte delle banche, le quali invece si sono preoccupate soprattutto di fare argine ai tassi spaventosi di ingresso di nuove sofferenze e incagli, prima chiudendo i rubinetti a tutti, poi andando negli armadi a ripulire scheletri e scheletrini. Le banche, va detto senza timore, per leccarsi le ferite e eguire i dettami della Banca d’Italia e della BceE sugli stress test, hanno ritardato una risposta strutturale all’inefficacia del sistema di rating di Basilea II nel lungo inverno della crisi. Le curve di crescita di incagli e sofferenze del grafico sottostante sono un buon indizio dell’effetto di traslazione da incagli a sofferenze legato all’attività investigativa promossa sia spontaneamente che dalla vigilanza della Banca d’Italia.

C’è stata pulizia, a volte brutale come nei casi delle banche discusse, ma non c’è stata innovazione nel credito, né sul fronte delle nuove iniziative al di fuori del circuito bancario -come invece è avvenuto nel Regno Unito- né sulla rivisitazione e ricostruzione di come fare credito in presenza di tante imprese in difficoltà.

Chi ha avuto idee è rimasto un predicatore nel deserto, le associazioni hanno fatto rattoppi non vestiti nuovi, l’Abi si è trincerata spesso dietro un dito mignolo non schierando risorse interne o esterne per sviluppare nuove soluzioni di sistema, scegliendo di lasciare alle singole banche come meglio ristrutturare i rispettivi processi del credito. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: dopo più di quattro anni siamo ancora a parlare di credito che manca, a contare le nuove sofferenze, a creare le illusioni dei 52 miliardi, senza mai separare con decisione da chirurgo la parte moribonda e dannosa delle imprese, da quella viva anche se sofferente. Aspettiamo Draghi e i suoi 52 miliardi, adesso, ma senza coraggio e senza innovazione potrebbe non succedere nulla di buono per un altro lungo anno.

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