Gorky ParkUcraina-Russia: la via d’uscita è il compromesso

Ucraina-Russia: la via d'uscita è il compromesso

Invasione o incursione? Operazione antiterrorismo o guerra? Catastrofe umanitaria o inevitabili effetti collaterali sulla popolazione civile? La crisi ucraina si gioca molto sulla prospettiva e sulla propaganda. Gli ultimi giorni sono stati da questo punto di vista esemplari: prima le parole di pace sussurrate al vertice di Minsk, poi l’annuncio dell’aggressione su larga scala da parte delle truppe di Mosca. Da una parte si racconta che i paracadutisti russi catturati in territorio ucraino hanno sconfinato per errore e che accanto ai separatisti combattono militari che invece di fare le vacanze al mare arrivano in Ucraina per combattere per l’indipendenza della Novorussia. Dall’altra la Nato fornisce foto satellitari che sembrano uscite da un B-movie bellico degli anni Ottanta, vecchie per giunta di una settimana. Nessuno si preoccupa di ciò che succede a Lugansk, giunta al ventottesimo giorno senza acqua corrente ed energia, nonostante il costante allarme dell’Osce e della Croce Rossa Internazionale, imprigionate fra i due fuochi.

Dopo che ieri mattina il presidente ucraino Petro Poroshenko ha annunciato l’invasione, alla sera è arrivato il contrordine: «La situazione è molto difficile, ma è sotto controllo». Parole uscite durante la riunione straordinaria del Consiglio di sicurezza nazionale sugli sviluppi nel sudest del paese. Il capo di stato non ha parlato direttamente di aggressione russa su larga scala, ma ha affermato solo che  mercenari e militari regolari hanno lanciato un’offensiva contro le truppe governative. La battaglia più dura infuria a Ilovaisk, alle porte Donetsk, dove l’esercito di Kiev è in difficoltà, per ammissione stessa del presidente, a causa dell’abbandono delle posizioni da parte di due unità. Diserzioni, in altre parole.

Da Mosca si è fatto sentire anche Vladimir Putin che con un messaggio sul sito presidenziale ha invitato Kiev a sedersi al tavolo delle trattative con i rappresentanti del Donbass, ribadendo che la crisi nel sudest non deve essere risolta con mezzi militari e la via deve essere pacifica. Il Cremlino si è appellato anche ai separatisti perché aprano corridoi umanitari nelle zone dove l’esercito ucraino, come a Ilovaisk, rischia gravi perdite. E el capo dei ribelli Alexander Zakharchenko ha detto di voler obbedire subito agli ordini. Messaggi trasversali per la Bankova, da tre giorni assediata da manifestanti che protestano contro i vertici politici e militari accusati di aver mandato l’esercito alla sbaraglio. Putin fa insomma un favore a Poroshenko, ma si aspetta qualcosa in cambio. Intanto Stati Uniti ed Europa a scanso di equivoci si preparano a un altro giro di sanzioni, inutili: visto a cosa sono servite quelle comminate sinora. Cosa succede in realtà, e soprattutto, come se ne esce?

Le posizioni di Russia e Ucraina sono ancora divergenti. Da una parte Mosca non molla l’osso e vorrebbe congelare il conflitto, cioè assistere i separatisti, che non sono targati esclusivamente Cremlino, ma sono una complessa galassia russo-ucraina sorta dal vecchio blocco di potere nel Donbass che faceva riferimento all’ex presidente Victor Yanukovich, e continuare a destabilizzare l’Ucraina che guarda a Occidente. Il segnale non è diretto solo a  Kiev, ma soprattutto verso il principale sponsor del governo uscito dalla rivoluzione di febbraio, cioè gli Stati Uniti. Dall’altro lato la Bankova insiste sulla soluzione militare che non solo si è fatta sempre più problematica sul campo, ma i cui costi umanitari si sono impennati nelle ultime settimane. Mentre però in Russia la popolarità di Putin è salita alle stelle e la crociata nazionalista ha rinserrato le fila, in Ucraina Poroshenko naviga in acque agitate, la maggioranza di governo è andata in pezzi e le elezioni anticipate di ottobre sono un’incognita legata appunto al prosieguo della campagna nel Donbass. Un rapido successo potrebbe far volare il presidente e i suoi alleati, se invece il conflitto si trascinasse ad approfittarne sarebbero gli estremisti nazionalisti e antirussi tipo Oleg Lyashko, già sorprendente terzo alle presidenziali di maggio.

Per evitare l’annunciata catastrofe, considerando anche che il paese non è ancora sprofondato solo grazie agli aiuti della comunità internazionale, la via d’uscita non è che quella del dialogo con la Russia e con i separatisti e il raggiungimento di un compromesso sullo status del Donbass. Il rischio è enorme, visto che larga autonomia o federalizzazione possono costituire i prodromi per una successiva separazione, ma l’alternativa, con Mosca che ha dimostrato di essere pronta a tutto, è il tracollo a breve termine.  

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