«Da quando Ntv ha avviato l’attività — si legge nella lettera aperta di Italo pubblicata nei giorni scorsi sui principali quotidiani italiani — è cominciata una strumentale battaglia con ogni mezzo contro la concorrenza».
Visti i toni duri, è lecito cercare domandarsi come e fino a che punto in Italia la libera concorrenza nel settore ferroviario venga ostacolata. Una parziale risposta si può trovare negli indicatori di Product Market Regulation dell’Ocse, che identificano, Paese per Paese, i principali impedimenti alla libera concorrenza a livello legislativo e che ci permettono quindi di farci una idea dello stato dell’arte della concorrenza nelle ferrovie italiane.
Il grafico I mostra come dal 1998 al 2013 l’Italia abbia fatto notevoli progressi, passando dal livello massimo di restrittività (6 su 6) ad un punteggio molto inferiore (1,45 su 6).
Scomponendo questi indicatori è possibile valutare quali siano i fattori chiave a guidare il miglioramento dell’Italia, e quali nodi restino invece ancora irrisolti.
Come si evince dal secondo grafico, i passi avanti più netti si sono visti nella riduzione delle barriere all’ingresso (ovvero i fattori che ostacolano le aziende che vogliono entrare nel mercato) e nella struttura del mercato (misurata, in questo caso, dal numero massimo di aziende che possono operare nella stessa area). Il miglioramento italiano deriva dalle liberalizzazioni avvenute a partire dal 1998 che hanno permesso a più operatori di entrare nel mercato e di competere nella stessa area geografica.
Da altri punti di vista i progressi fatti sono molto più timidi, soprattutto se guardiamo alla proprietà pubblica, misurata dalla percentuale – che in Italia è stabile al 100% – della maggiore azienda del settore che è detenuta dallo Stato.
L’ostacolo più grande è però rappresentato dal grado di integrazione verticale del mercato, ovvero il grado di separazione tra chi fornisce il servizio di trasporti e chi gestisce le infrastrutture ferroviarie. Più forte il legame, maggiore il rischio che il gestore favorisca l’operatore a cui è legato. Nel caso italiano, il gestore Rfi come Trenitalia è posseduta da Ferrovie dello Stato; questo rappresenta secondo gli indicatori Ocse la maggiore causa della restrittività della concorrenza nel settore. Fra l’altro, l’integrazione verticale è stata indicata come ostacolo alla libera concorrenza anche dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato.
Chiaramente i dati presentati, essendo concentrati sull’analisi della legislazione, non colgono tutti gli elementi del complesso quadro italiano. Tralasciano infatti le eventuali violazioni delle regole della concorrenza, l’aumento delle tariffe elettriche, la lunga assenza di un’Autorità regolatrice analoga a quelle che hanno accompagnato i processi di liberalizzazione nei settori delle telecomunicazioni e dell’energia[1]. Nonostante questo, gli indicatori ci permettono comunque di arricchire con dati oggettivi il dibattito pubblico, in questi giorni in cui l’Italia si interroga nuovamente su quale futuro voglia per i suoi mercati e su quale influenza avrà questa scelta sulla crescita del Paese.
[1] La decisione di istituire l’Autorità di regolazione dei trasporti è stata presa nel 2011, ma l’Autorità è entrata nella piena operatività soltanto il 15 gennaio 2014.