Nonostante le attivazioni di contratti siano in leggero aumento, 80.000 in più in un anno, i dati del mercato del lavoro non sono così rosei come si è letto in diversi giornali. Depurati dalla stagionalità, e dai contratti a brevissima durata, i dati evidenziano una situazione di stallo. I contratti che durano appena un mese, quota che tiene conto sia del lavoro stagionale, che delle collaborazioni saltuarie, sono ben il 40% del totale. Il dato è in aumento di 3 punti percentuali dal 2011, mentre la quota di contratti che durano fra 2 e 3 mesi è in discesa nell’ultimo anno; quella dei contratti da 4 mesi fino ad un anno, si sta gradualmente riducendo dal 2011. Stabili, invece, i contratti cessati di durata di oltre un anno.
Sebbene in termini assoluti le cessazioni siano in diminuzione, dato che, accoppiato a più attivazioni, indica un aumento del numero netto di posti di lavoro, i dati suggeriscono che il mercato del lavoro italiano è marcato da alta precarietà, fortunatamente senza raggiungere, per ora, il preoccupante dualismo della Spagna della fine degli anni 2000. Riuscire ad aumentare la quota di rapporti più stabili, dove gli incentivi alla formazione sono più alti, a vantaggio della crescita della produttività, è uno degli obiettivi del Jobs Act. Dopo mesi di parole, la riforma del mercato del lavoro non può più attendere, anche se, con una domanda di lavoro ancora bassa, ogni speranza che essa si traduca subito in occupazione stabile è forse mal posta.