Investimenti lordi in volume – 2000 = 100, Fonte: elaborazione su dati Oecd
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Negli ultimi giorni si susseguono notizie preoccupanti sul futuro delle economie europee. I commenti sono unanimi nel sottolineare la scarsa propensione ad investire, nella fase di uscita dalla lunga recessione, come il sintomo principale delle difficoltà delle economie del Vecchio Continente. Come si nota, in media, sono gli investimenti in costruzioni ad essere state colpite, e la cosa non stupisce, con la bolla immobiliare all’origine della crisi alle spalle.
Oltre a questo dato, peraltro comune all’Europa quanto agli Stati Uniti, tuttavia, c’è di più: nei maggiori paesi europei, infatti, gli investimenti in hardware informatico, in beni intangibili come software e databases e in ricerca e sviluppo delle imprese sono estremamente deboli. È vero: dal 2000 le spese di ricerca e sviluppo sono aumentate del 20% in Francia e negli Stati Uniti e del 30% in Germania e Italia. La grande differenza, però, è da ricercare negli investimenti veri e propri. Quelli in apparecchiature hardware negli Usa, dal 2000, sono quasi raddoppiati, mentre sono aumentati “solo” del 40% in Francia e sono addirittura al palo in Italia.
Lo stesso trend si può osservare per gli investimenti in software protetti da brevetto o copyright (intangibles, nel grafico), dove l’Italia non solo arranca nei confronti degli Stati Uniti, ma è distanziata fortemente dai suoi maggiori partner dell’Unione Europea.
Con queste cifre, è inutile sperare in una ripresa dell’economia robusta e di lunga durata, in quanto i settori dell’Ict e del software sono alla base del nuovo paradigma economico. Essere realisti è spesso spiacevole: la nostra economia è in grave ritardo, e non si vede come si possa recuperare competitività con investimenti così bassi nelle aree che stanno ridisegnando i paradigmi dell’innovazione.