“Non è vero che il legislatore abbia sulle nostre persone e sulle nostre proprietà una potenza assoluta, poiché esse esistono prima del Legislatore e il suo compito è di circondarle di garanzie”
( Frédéric Bastiat)
Il 2014 è ormai finito e gli italiani che aspirano a vivere nel 2015 in un Paese dove siano riconosciute maggiori libertà civili, politiche ed economiche non dovrebbero riporre le loro speranze nell’azione di Governo e Parlamento.
Da qualche tempo oramai il riconoscimento di nuove libertà e l’estensione delle loro facoltà dipendono pressoché esclusivamente dall’azione degli organi giurisdizionali nazionali ed extranazionali e non più dalla volontà degli organi costituzionali espressione della democrazia rappresentativa. E’ merito dei tribunali, in sostanza, e soprattutto della Corte Costituzionale, della Corte Europea dei diritti dell’uomo e della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, se i diritti individuali non solo sono tutelati, ma anche ampliati e rinnovati in coerenza con le nuove istanze sociali e con lo spirito dei tempi.
L’ignavia della democrazia rappresentativa nel rispondere alle richieste di maggiore libertà e a valorizzare le potenzialità insite nelle cosiddette Carte fondamentali non è, per la verità, tipica solo del nostro Paese, ma attraversa, dove più, dove meno, molte democrazie europee. Per alcuni aspetti è persino naturale che siano le Corti ad occuparsi del riconoscimento e della tutela delle libertà. In Italia, tuttavia, l’attitudine delle autorità pubbliche a contrastare diritti e libertà presenta caratteri marcatamente più accentuati, tanto è vero che le cronache della giurisprudenza giuspubblicista raccontano di una continua battaglia dei cittadini italiani nelle aule dei tribunali per il riconoscimento di diritti e libertà da parte delle pubbliche amministrazioni e dello Stato più in generale.
Nel 2014 il bollettino di guerra è stato particolarmente eloquente. La Corte costituzionale ha dovuto contrastare le gravi limitazioni che negli anni precedenti il Parlamento ha tentato di porre a 360 gradi a libertà e diritti fondamentali. Nel mese di gennaio (sentenza n. 1/2014) ha cancellato la legge elettorale per l’elezione del Parlamento nazionale perché scritta dal legislatore in palese violazione dei diritti politici dei cittadini, diritti che non trovavano adeguata espressione in un premio di maggioranza sproporzionato, assegnato alla coalizione che conquistava il maggior numero di voti, e nel mancato riconoscimento all’elettore della facoltà di scegliere il candidato, con voto di preferenza, all’interno delle liste elettorali.
Ad aprile, sempre i Giudici della Consulta hanno dichiarato l’incostituzionalità della legge n. 40/2004 (sentenza n.162/2014) sulla fecondazione medicalmente assistita, rilevando la violazione da parte del Parlamento del fondamentale e non comprimibile diritto dei cittadini all’autodeterminazione e alla tutela della salute e riconoscendo alle coppie affette da infertilità assoluta il diritto a praticare la fecondazione eterologa. Nello stesso giorno il “ custode della ragionevolezza” ha ribadito che il legislatore non può comprimere oltremodo il diritto dei singoli contribuenti ad agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi (sentenza n. 98/2014)
Due mesi più tardi, con sentenza n. 170/2014, i Giudici delle leggi hanno sanzionato l’illiberale pretesa dello Stato di disconoscere qualsiasi relazione giuridica fra due soggetti, in precedenza sposati, uno dei quali abbia ottenuto con sentenza la rettificazione dell’attribuzione del sesso.
Con sentenza n. 228/2014, ancora, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittima, perché lesiva delle libertà dei lavoratori autonomi, la richiesta predatoria dello Stato di tassare i prelievi dai conti correnti ritenendoli, senza alcuna prova, destinati ad investimenti produttivi di ulteriore reddito.
Nel mese di ottobre, infine, è stata affermata l’indefettibile prevalenza della tutela dei diritti delle vittime dei crimini di guerra rispetto all’immunità giurisdizionale, riconosciuta indirettamente per legge, dello Stato ritenuto responsabile. (sentenza Corte costituzionale n. 238/2014).
Anche la giurisprudenza amministrativa più illuminata, dal canto suo, non ha mancato nell’ultimo anno di porsi nella prospettiva della tutela delle libertà politiche ed economiche dei singoli contro l’arbitrio del potere pubblico.
Ne sono un esempio, tra le altre, da un alto la sentenza del Tar Lombardia (n. 2401/2014) che ha giustamente ritenuto censurabile (investendo la Corte di Giustizia dell’Unione europea) il comportamento del legislatore italiano, che anziché rendere contendibili sul mercato, per il tramite di gare ad evidenza pubbliche, le concessioni demaniali marittime, ne ha previsto il rinnovo di anno in anno in capo agli attuali detentori sino al 2020, riconoscendogli così un ingiustificabile privilegio, dall’altro, l’ordinanza del Tar Friuli Venezia Giulia (n. 495/2014) che ha stigmatizzato la cancellazione del diritto politico di elettorato attivo e passivo per i cittadini delle province, enti che nonostante proclami e promesse non sono stati ancora soppressi ed i cui organi di governo dovrebbero essere per legge eletti dagli organi comunali piuttosto che dal corpo elettorale.
La mancanza di cultura giuridica colpisce tutti i livelli di governo, tutte le frange della nostra classe dirigente, e si rivela anche in atti amministrativi di micro organizzazione cosicché, il Tar del Lazio si è visto costretto a sospendere una deliberazione del consiglio comunale di Roma Capitale, con la quale sono state previste delle tariffe, per il servizio d’asilo nido, da applicare in maniera retroattiva (ordinanza n. 5203/2014).
Gli esempi potrebbero continuare – basti pensare alle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo -, ma l’indirizzo di fondo appare chiaro e non da ora. Il Parlamento nazionale legifera troppo spesso senza alcuna considerazione per i diritti dei cittadini e la pubblica amministrazione agisce sul medesimo canovaccio, cosicché la speranza di vedere ampliato il ventaglio delle libertà civili, politiche ed economiche non può che essere riposta nel mondo del diritto e nelle aule dei tribunali. Lì, dove la risoluzione del conflitto è ancora affidata fortunatamente alla lettera e allo spirito delle carte costituzionali, alla razionalità, al metodo dialettico, al confronto argomentato, alla trasparenza delle procedure e delle motivazioni delle decisioni adottate.
Naturalmente nemmeno dentro le aule giudiziarie regna la perfezione, né si registra sempre una spiccata sensibilità verso l’estensione delle libertà individuali (è soprattutto la libertà economica a soffrire in quest’ambito), ma non si può dimenticare che i tribunali intervengono quando una limitazione della libertà è già stata attuata dall’autorità pubblica. Allo stesso modo non può sottacersi che sempre più spesso il Parlamento adotta “obtorto collo” provvedimenti che tutelano diritti e libertà per ottemperare a sentenze di condanna della Corte EDU e che per il resto su queste materie non ha legiferato per nulla secondo Costituzione.
L’azione giudiziaria, inoltre, rappresenta oramai l’unica via d’accesso che consente ai singoli individui d’influenzare a proprio vantaggio la produzione del diritto, stante la scarsa rappresentatività della classe parlamentare e la difficoltà d’utilizzare la democrazia rappresentativa come cinghia di trasmissione delle richieste che provengono dal basso. L’agone politico rivela, ad ogni livello, una cultura che pare oggi concentrata esclusivamente sulla ricerca dell’efficienza economica di alcune “azioni tecniche”; una cultura che risulta, tuttavia, estranea alle esigenze e alle logiche del discorso giuridico che sono, in ultima analisi, esigenze e logiche delle libertà individuali. All’interno di un contesto così delineato, l’augurio per il 2015 di cui gli italiani hanno bisogno è che gli sia riconosciuta ancora maggiore libertà e che la cultura giuridica invada finalmente la politica.
@roccotodero