Giorgio Bocca è stato uno dei più grandi interpreti dell’Italia del Novecento, avendola vista invecchiare insieme a lui che, nato nel 1920 a Cuneo, è morto a 91 anni, il 25 dicembre del 2011. Giornalista, scrittore, partigiano, Bocca è uno di quei personaggi talmente acuti e lucidi nelle proprie analisi, da avere ancora parecchie cose da dirci sull’Italia, sulla democrazia, perfino sul giornalismo, un mestiere che, da quando cominciò a farlo lui, ha fatto almeno un paio di giri completi su se stesso.
In un’intervista rilasciata a L’Espresso qualche anno prima di morire, Bocca, che non ha mai nascosto la propria disillusione nei confronti dell’Italia, aveva dichiarato: «Sono certo che morirò avendo fallito il mio programma di vita: non vedrò l’emancipazione civile dell’Italia». Di certo, a tre anni dalla sua morte, è difficile poter dire il contrario, è difficile pensare a questo nostro paese come a un paese emancipato e civile. Ma rileggere e riascoltare i discorsi di gente come Giorgio Bocca è necessario. A 91 anni ci si può concedere il lusso di ammettere il proprio fallimento, non prima.
Come giudica la situazione dell’informazione in Italia?
Sta andando al collasso, il vuoto di informazione è diventato la norma. Qualunque sia il tema dell’informazione, di stampa o radiotelevisiva, lo scopo dichiarato, il risultato perseguito è di non informare, di essere oscuri e noiosi quanto basta perché la platea degli italiani cambi canale e si rifugi in qualche «Verissimo» mignottificio.
Internet ha migliorato la situazione?
Ma va’! Nella rete della comunicazione sovrabbondante, istantanea, poliglotta c’è una regola taciuta ma dominante: alla fine quelli che hanno la ricchezza e la conoscenza fanno i loro porci comodi, magari invidiati e votati dai poveracci. Che informazione c’è stata sulle grandi truffe mentre si svolgevano? Che cosa abbiamo saputo in tempo debito delle truffe sulla banda larga, sui paradisi fiscali, sulle partite IVA evase, sulle grandi opere e sui grandi eventi, sulle opere del regime e del sultano? Nulla a tempo debito. In fondo si parla della libertà di stampa solo quando stanno per soffocarla.
Che effetto farà questa sovrabbondanza?
L’effetto di questa informazione istantanea e globale non è dei migliori, sembra di vivere in un incubo. L’informazione, a forza di gonfiarla, di accelerarla, di urlarla, di imporla si è svuotata come una gomma forata, è un frastuono rimbombante e incomprensibile.
Qual è il pericolo, secondo lei?
Il vero pericolo, la vera minaccia è l’autoritarismo morbido, la dittatura della maggioranza, il presidenzialismo e le varie forme per cui la democrazia parlamentare e costituzionale può trasformarsi in un sultanato capace di allargare il suo consenso con i soldi e le intimidazioni.
Lei crede che la democrazia sia davvero il migliore dei sistemi sociali possibili?
Churchill pensava di sì: «È piena di difetti,» diceva, «ma non se ne conosce uno migliore». Il primo evidente condizionamento è quello di essere legata al sistema economico capitalistico senza regole. Nel bene come nel male, s’intende. Alla fine del grande conflitto tra i due sistemi, il democratico e il comunista, il secondo ha dovuto ammettere la sua inferiorità nella moltiplicazione e nella distribuzione dei beni materiali.
Secondo lei il sistema democratico in Italia ha fallito?
No, per niente. A guardare l’Italia diciamo che di fronte al miglioramento economico, di fronte ai consumi, ai comodi la risposta è positiva, la democrazia ha senz’altro portato grandissimi miglioramenti.
Ma c’è un ma, vero?
Sì, c’è un ma. Perché se guardiamo al progresso civile, culturale, c’è da sentirsi cadere le braccia. L’incontrastato e smodato dominio pubblicitario ha fatto degli italiani dei burattini che ripetono frasi fatte, il linguaggio asfittico dei consigli per gli acquisti, inseriti nelle migliaia di ore dedicate dalle televisioni alle gare di memoria, come un tempo faceva la Chiesa con le gare di catechismo.
Il problema è la televisione?
Sì, e non ci si stupisca, essendo la televisione alla base della cultura nazionale: la sua incapacità di inventare cultura, di inventare un linguaggio si rivela in tutte le nostre manifestazioni, a cominciare da quelle della politica, dove non esiste più, si direbbe, un deputato, un candidato, un oppositore che sappia parlare in modo comprensibile, e sembra che tutti si riducano all’opprimente uso dei luoghi comuni più consumati.
Non ha paura che un discorso del genere venga bollato come snob?
Ma scherziamo? Parlare della rivoluzione televisiva come di un cataclisma culturale non è snobismo, ma la pura e amara verità. Che tipo di uomini, che società verranno fuori da questo bagno continuo nella violenza e nell’adescamento pubblicitario? La televisione non si spegne mai, anche nelle giornate feriali, di lavoro, le donne fanno cucina, cuciono o puliscono con un occhio al lavoro e l’altro alla televisione accesa. E formano un esercito di fan, di apprezzatrici della televisione chiamata popolare per dire peggiore. Abbiamo impiegato millenni per uscire dalle superstizioni e dalle false magie e ora ci ripiombiamo convinti per di più di partecipare a una grandissima operazione culturale.
Tornando al giornalismo, come giudica la radicalizzazione del dibattito, che sui social network come nei talk show si fa sempre più violento e frontale?
È preoccupante. Questa durezza polemica, questo colpire l’avversario senza esclusione di colpi, deriva anche dal cambiamento della società e dal declino, se non dalla scomparsa, dei valori etici. Nel mondo industrializzato dopo la Seconda guerra mondiale valori come l’onore, la fedeltà, il buon nome, la rispettabilità si sono affievoliti sino a scomparire, sostituiti da un unico valore dominante: il denaro-potere, la ricchezza che ti mette al di sopra delle leggi e dei giudizi.
E invece cosa ne pensa della deriva del giornalismo verso il gossip e verso il voyeurismo da cronaca nera?
Eh eh eh, ma questa non è mica una novità. Pensa che quando crearono le scuole di giornalismo, quelli del mestiere predicavano ai giovani la legge delle tre esse: sesso, soldi, sangue. Oggi il dominio delle tre esse, del fascino che ha il delitto presso gli uomini, è ingigantito dai mezzi di comunicazione e di intrattenimento. Gli italiani sono sedotti dai delitti, cioè dal male e dai suoi demoni.
Quindi qual è il suo giudizio, se volessimo tirare le somme?
La democrazia è ancora il migliore dei sistemi sociali possibili, ma la banalità del risaputo che la circonda è soffocante e insopportabile. In questo deserto degli antichi valori, in questa società dell’homo homini lupus non ci sono più limiti al generale massacro.
Gran parte delle parole usate da Giorgio Bocca in questa intervista impossibile sono prese dal libro, Grazie NO, pubblicato da Feltrinelli nel gennaio 2012.