Nel 1748 Charles–Louis de Secondat, barone di Montesquieu scriveva ne “L’esprit des lois” che punire una semplice intenzione omicida fosse in realtà una grande tirannia. Il filosofo-giurista francese con parole efficaci rendeva chiaro il significato di quello che qualche tempo più tardi sarebbe stato uno dei capisaldi della teoria del garantismo penale e cioè il principio della materialità (o esteriorità) dell’azione quale condizione per infliggere una pena.
Negli ordinamenti giuridici moderni di stampo liberale, infatti, l’aspirazione è che lo Stato sanzioni un comportamento umano con la privazione della libertà solo quando il bene aggredito dal crimine sia di rango elevato e la condotta del reo si manifesti all’esterno con un’azione materiale che arrechi pregiudizio al bene tutelato o almeno lo metta seriamente in pericolo.
Non dovrebbe essere possibile, cioè, sanzionare penalmente un’idea o una convinzione morale o religiosa, fosse anche tra le più ripugnanti e tra le più potenzialmente violente. Sino a che essa rimane nella cosiddetta “sfera interna” e non si traduce in un’azione materiale vera e propria, al suo autore non si dovrebbe poter torcere un capello. In linea di massima così è, in effetti.
Per quanto si possa essere giudicati soggetti pericolosi, senza la manifestazione di un’azione violenta lo Stato non potrebbe imporci alcuna limitazione della libertà personale
Le democrazie liberali assicurano, in sostanza, il diritto di essere malvagi, di coltivare deviazioni di ogni tipo, di aderire a dottrine intolleranti purché non vi sia manifestazione alcuna di violenza.
L’offesa al sentimento religioso e i reati di opinione potrebbero a prima vista rappresentare forse un’eccezione, ma non si deve dimenticare che le sanzioni previste ad esempio dal nostro codice penale sono opportunamente molto tenui, mai eseguite del tutto, e la tendenza della dottrina liberale è a depenalizzare anche questo tipo di condotte.
Il principio d’uguaglianza, poi, obbliga lo Stato a comminare sanzioni penali che siano “proporzionate” ai danni realizzati o ai pericoli paventati, cosicché è del tutto evidente che non si può privare della libertà per 20 anni consecutivi, ad esempio, chi si è limitato a lodare lo sterminio degli infedeli in nome di Allah.
È bene ripeterlo: si tratta di principi di stampo liberale che rappresentano la struttura portante del garantismo penale e dunque della società aperta cosi come l’abbiamo eretta nella parte occidentale del mondo.
La conseguenza di questa impostazione è che per quanto si possa essere giudicati soggetti pericolosi, senza la manifestazione di un’azione violenta lo Stato non potrebbe imporci alcuna limitazione della libertà personale nemmeno se ci dovesse scoprire dediti al proselitismo fondamentalista più esasperato.
L’unico temperamento di matrice preventiva che, ad esempio, il nostro ordinamento conosce consiste nella possibilità di anticipare la reazione penale al tentativo di compiere un reato, quando cioè si compiano uno o più atti idonei e diretti in modo non equivoco a commettere
un delitto. Deve trattarsi comunque di un’azione anche questa esterna che quantomeno metta in pericolo un bene di rango costituzionale.
Le norme penali, com’è noto, hanno anche una funzione general preventiva; valgono come minaccia che l’ordinamento giuridico reagisca di fronte alle aggressioni violente. Non saremo, tuttavia, mai in grado di avere certezza sul fatto che esse agiscano come deterrente allo stesso modo su tutti i consociati indistintamente.
Chi coltiva idee, per così dire, pericolose, potrebbe vivere tutta un’esistenza senza commettere mai alcuna violenza, senza macchiarsi di alcun reato, oppure potrebbe all’improvviso scatenare la sua furia ideologica con una brutalità inaudita. E, allo stesso modo, chi non ha mai nemmeno manifestato idee e sentimenti d’intolleranza potrebbe avere coltivato per anni la riserva mentale del proprio odio e rivelarlo d’un tratto con le peggiori azioni criminali.
Resta che la privazione della libertà nelle nostre società continua a rappresentare una “sanzione” per fatti e pregiudizi compiuti e che le restrizioni delle libertà in funzione preventiva non hanno di solito diritto di cittadinanza.
Il fatto che nessuno chieda dove stiamo andando appena oltre l’uscio di casa è il tratto distintivo della civiltà in cui viviamo. Ne è l’essenza
In questo sta la grandezza delle democrazie liberali e, allo stesso tempo, il loro nervo scoperto, il loro punto debole. Agire diversamente, infatti, significherebbe pretendere che i cittadini dovrebbero essere costretti a rivelare allo Stato quale libri leggono e perché leggono quelli e non altri, perché scelgono di visitare un Paese piuttosto che un altro, quali ragioni li inducono ad aderire a una confessione religiosa invece che ad un’altra. Dopodiché, sulla base della probabile pericolosità delle condotte tenute e della previsione delle possibili azioni future che i soggetti potrebbero adottare, lo Stato dovrebbe procedere a specifiche restrizioni della libertà per impedire la commissione di “eventuali” reati.
Uno scenario apocalittico, da Stato totalitario prima ancora che da Stato assoluto. Si può entrare in un supermercato per acquistare una birra o per sterminare degli innocenti; il fatto che nessuno di noi è perquisito all’ingresso di ogni luogo che visita è un gesto di fiducia nella nostra libertà, nella nostra responsabilità. Il fatto che nessuno ci chieda dove stiamo andando appena abbiamo oltrepassato l’uscio di casa nostra è il tratto distintivo della civiltà in cui viviamo. Forse ne è l’essenza.
I servizi d’intelligence, troppo spesso e non sempre senza alcuna ragione, oggetto di aspre critiche all’interno delle democrazie occidentali potrebbero svolgere un ruolo molto importante all’interno di un contesto cosi delineato. A loro (e alle altre forze di polizia) spetta il compito di consentire a ciascuno di noi di potere esercitare le libertà con la responsabilità che crediamo di possedere senza il “terrore” del pensiero delle conseguenze dell’esercizio della libertà altrui. Un compito, quello di tutelare la vita, la libertà e la proprietà dei cittadini, che oggi più che mai si rappresenta come la funzione principale che lo Stato dovrebbe assolvere.
Tutto il resto però, purtroppo o per fortuna, è il prezzo per la nostra libertà.