Anche in Vaticano è tempo di riforme istituzionali e il dibattito fra i cardinali, come si dice, è costruttivo; insomma il taglio dei dicasteri pure in programma, ancora non è entrato in vigore. D’altro canto sono due anni ormai che il Papa spara a zero verso il quartier generale, ovvero contro la stessa Curia romana da lui guidata e che vorrebbe fortemente ridimensionata nel peso rispetto alle chiese locali, e nella pesante struttura burocratica. Così anche domenica scorsa, in occasione della messa celebrata in San Pietro per i nuovi cardinali appena eletti, Francesco ha riaffermato con estrema precisione – e non senza durezza – quale sia modello di Chiesa cui intende dare vita.
In questo contesto ha tirato fuori la parola chiave divenuta una mantra contemporaneo: la casta: «Cari fratelli – ha scandito Bergoglio – guardando a Gesù e alla nostra madre Maria, vi esorto a servire la Chiesa in modo tale che i cristiani, edificati dalla nostra testimonianza, non siano tentati di stare con Gesù senza voler stare con gli emarginati, isolandosi in una casta che nulla ha di autenticamente ecclesiale». «Vi esorto – ha poi aggiunto – a servire Gesù crocifisso in ogni persona emarginata, per qualsiasi motivo; a vedere il Signore in ogni persona esclusa che ha fame, che ha sete, che è nuda; il Signore che è presente anche in coloro che hanno perso la fede, o che si sono allontanati dal vivere la propria fede; il Signore che è in carcere, che è ammalato, che non ha lavoro, che è perseguitato; il Signore che è nel lebbroso, nel corpo o nell’anima, che è discriminato!».
Quindi ha concluso: «Non scopriamo il Signore se non accogliamo in modo autentico l’emarginato! Ricordiamo sempre l’immagine di san Francesco che non ha avuto paura di abbracciare il lebbroso e di accogliere coloro che soffrono qualsiasi genere di emarginazione. In realtà, sul vangelo degli emarginati, si scopre e si rivela la nostra credibilità!».La credibilità che acquista senso quando la Chiesa sta dalla parte degli ultimi, e poi il rifiuto del potere e di quella casta che è il contrario della Chiesa. Questi, quindi, i concetti messi in chiaro dal Papa, in quella che può essere a ragione definita come una una delle omelie più importanti del suo pontificato.
Francesco ha usato toni particolarmente duri proprio perché, in questi due anni, ha potuto vedere con i propri occhi fino a che punto il sistema ecclesiale romano e non solo fosse avvitato su sé stesso: prelati, cardinali, apparati di Curia che resistono al cambiamento sia sul piano pastorale, – la scarsa attenzione rivolta agli offesi, agli emarginati, ai non credenti, a quanti hanno perso la fede, ai perseguitati – che su quello organizzativo dove prevale la paura di perdere posti e privilegi. Di fatto il Papa che voleva snellire la curia romana, metterla al servizio dei vescovi sparsi nel mondo, eliminare progressivamente le porpore in Vaticano, sta incontrando una opposizione che gli impedisce di fare in fretta. Di fronte ha una palude che ogni tanto alza la testa, ruggisce, rivendica la “dottrina tradizionale”, si oppone alla Chiesa aperta che accoglie anche i divorziati, le coppie di fatto, i separati, gli omosessuali, prefigurata da Francesco. E, pure se non ha il coraggio di dirlo in modo esplicito, detesta il primato del ‘sociale’ voluto dal papa argentino con la sua perseverante critica al capitalismo finanziario e la scelta di mettere i carcerati, gli immigrati, i poveri, prima della bioetica.
Nel frattempo però papa Francesco, che è pur sempre un gesuita, un po’ di cose le ha cambiate lo stesso e anzi si tratta di passi avanti sostanziali. In particolare ha allargato il collegio cardinalizio sempre più al sud del mondo e e ha ristretto il numero dei porporati europei, le nomine di cardinali curiali inoltre sono ormai ridotte al minimo. Così ora in un eventuale conclave le berrette rosse con diritto di voto (meno di 80 anni) extraeuropee – si va dal nord al sud America, passando per Tonga, il Myanmar, l’Etiopia e la Nuova Zelanda – sono in maggioranza rispetto ai cardinali europei, 68 a 57. Insomma, il futuro della Chiesa appare segnato: si guarda all’Asia e alle Americhe.
La prossima tappa, poi, è il sinodo sulla famiglia di ottobre, quello probabilmente sarà lo snodo decisivo. Se la linea del Papa di una chiara apertura della Chiesa alla comprensione della condizione umana contemporanea, in tutti i suoi aspetti, avrà un consenso ampio, a quel punto il resto verrà più o meno da sé. E’ un fatto del resto, che Bergoglio deve fare un passo per volta, non ha moltissimo tempo davanti: ha già 78 anni e non farà il papa ‘a vita’, queste almeno le intenzioni dichiarate, quindi è probabile che prima o poi si dimetterà come Benedetto XVI. Dunque dopo il sinodo entrerà nel vivo anche la riduzione dei dicasteri vaticani.
D’altro canto si tratta di riscrivere una Costituzione, sia pure apostolica, che in questo caso si chiama “Pastor Bonus”, cioè il documento promulgato da Giovanni Paolo II nel 1988 che stabilisce regole, funzioni e armonia istituzionale fra i vari organismi centrali della Chiesa. La costruzione messa a punto da Wojtyla si basava già sulle solide fondamenta della riforma impostata da Paolo VI (Regimini ecclesiae universae) che di fatto aveva accresciuto e potenziato il ruolo della Segreteria di Stato, divenuta negli anni il vero motore del Vaticano. La linea del papa è chiara: sburocratizzare, ridurre, accorpare e sopratutto trasformare le potenti congregazioni vaticane guidate da cardinali che formavano una sorta di corte, in strutture al servizio delle chiese locali, dei loro problemi, capaci di intervenire per supportare gli episcopati locali.
Un cambiamento radicale destinato a metter in crisi abitudini, prebende, tradizioni e piccoli potentati della cittadella vaticana ma anche, più in generale, un’idea di Chiesa. Bergoglio in realtà un colpo come si deve in materia di riforme lo ha messo a segno fin da subito, pochi mesi dopo essere stato eletto. E’ ormai famoso infatti il cosiddetto C9, il consiglio dei cardinali del Papa che nel frattempo è diventato il vero centro di governo della Chiesa universale. E si tratta, per altro, di un classico organismo collegiale, funziona infatti una sorta di consiglio dei ministri del pontefice. In questo gruppo troviamo molti degli uomini chiave del pontificato di Francesco: il Segretario di Stato Parolin, il prefetto della Segreteria per l’Economia, il cardinale australiano George Pell, l’americano O’ Malley, cioè il cardinale cappuccino che preside la pontificia commissione per la protezione dell’infanzia (il dicastero della lotta contro la pedofilia nella Chiesa); il cardinale tedesco Marx a capo del Consiglio per l’economia, organismo misto di prelati e laici che traccia gli indirizzi economici della Santa sede in sintonia con la Segreteria per l’economia. Ancora nel C9 c’è il cardinale Maradiaga, il coordinatore del gruppo, voce autorevole nel descrivere il nuovo modello economico e sociale contrario alla globalizzazione finanziaria, tracciato dal papa. E’ all’interno di questo gruppo che sono stati discussi tutti i dossier più delicati – la riforma economica la risposta agli abusi sessuali, la stessa riforma della Curia.
Il progetto di Bergoglio, tuttavia, è anche più ambizioso: l’obiettivo infatti è quello di assegnare al sinodo, cioè all’assemblea di vescovi delegati di tutti i Paesi, poteri sempre più ampi vale a dire non solo consultivi ma decisionali. Ancora un ruolo crescente dovrebbero avere le conferenze episcopali continentali e nazionali. Sono proprio queste le opzioni che spaventano maggiormente l’ala conservatrice. Finirebbe in tal modo il super potere romano, e nascerebbe una Chiesa collegiale in cui le voci locali hanno un’importanza decisiva.