Articolo tratto dal sito NoisefromAmerika
Riflessioni sul Quantitative Easing (QE) della BCE. Per una breve e non tecnica descrizione di che cosa sia il QE annunciato la settimana scorsa rimando alle schede del Corsera. Riassunto della mia conclusione: chi spera che il QE riporterà l’Europa sul sentiero della crescita economica duratura si illude. Rebus sic stantibus non mi aspetto neanche la breve fiammata che la “Abenomics” generò a suo tempo in Giappone. È una mossa politica, utile a gestire il trio Iglesias-Renzi-Tsipras durante il 2015-2016, oltre che a tentare, una volta ancora, di forzare le oramai inqualificabili elite politiche di buona parte dell’area Euro ad ammettere le loro responsabilità in questa stagnazione infinita. La cagnara mediatica della scorsa settimana ha, anch’essa, puri fini politici: creare le condizioni perché i paesi europei ricomincino a indebitarsi a go-go e si scordino persino di parlare di riforme. E questo temo sia il rischio peggiore.
La mossa della BCE era, a questo punto, quasi obbligata, vista la pressione politica montante e l’evolversi della situazione politica in Spagna, Italia, Francia e Grecia.
Così facendo la BCE, da un lato, cerca di allentare la pressione che svariati governi (l’italiano in primis) vanno facendo da tempo su di essa perché compia l’impossibile miracolo di far “ripartire la crescita” in assenza di radicali riforme strutturali nei vari paesi e, dall’altro, mette prospetticamente in scacco proprio i governi che il QE sono andati richiedendo con maggior forza. Fra un anno o due, quando la crescità non sarà ripartita, questi non potranno più dire “colpa della BCE che non fa quello che la Fed fa in America”. Che poi si arrivi ad un redde rationem e le riforme si comincino a fare per davvero non mi sento proprio di sperarlo, pur augurandomelo.
Riassunte così le mie conclusioni, provo ad argomentare brevemente come e perché giungo alle medesime. Poiché l’esperienza USA viene additata da tutti come il modello da seguire, ecco qui e qua i grafici essenziali. Chi avesse bisogno di maggiori dati può trovarli agevolmente su FRED.
1) Effetto sui tassi d’interesse.
L’esperienza USA mostra che, fatto salvo il periodo iniziale di QE1, i tassi d’interesse (sia sui bond corporate, che sui mutui immobiliari, che sul bond decennale del Governo federale) non sono diminuiti durante i periodi di QE in modo maggiore o più rapido che durante il resto dei sei anni 2008-2014. Anzi, alla fine di QE3 tutte e tre queste classi di tassi d’interesse erano abbastanza superiori di quanto fossero nel 2012. La discesa recente è iniziata ad annuncio di chiusura del QE3 e continuata dopo la sua fine. A questo fatto occorre aggiungerne un secondo: i tassi d’interesse sul debito pubblico europeo sono, con l’eccezione di Grecia e Portogallo, tutti inferiori a quelli dei titoli USA di maturità analoga. In particolare, i tassi sul debito pubblico dei quattro maggiori paesi Euro (Francia, Germania, Italia e Spagna) sono tutti sostanzialmente più bassi di quelli USA. Il che, sia detto e ricordato, spiega abbondantemente perché durante l’ultimo anno l’Euro si sia deprezzato senza bisogno di alcun QE europeo ed in presenza, invece, del QE americano: rendimento sicuro per rendimento sicuro, anche 50-150 punti base di rendimento addizionale attirano capitali! Cos’altro possa ottenere un QE europeo dopo la chiusura di quello USA mi sfugge.
Al più ritarderà (come io mi auguro, ma questo è un altro discorso ed è alquanto più complicato) la spinta al rialzo dei tassi USA da parte della Fed: se il dollaro continua ad apprezzarsi rispetto all’euro, l’industria USA aumenterà la pressione perché i tassi da questo lato dell’Atlantico non crescano. Questa per me cosa buona e giusta perché, se dovessero crescere rapidamente, rischieremmo di assistere all’ennesima crisi finanziaria. Ma, ripeto, questo è un altro e più delicato argomento.
Questa differenza fra i tassi USA e quelli europei, ovviamente, si deve in buona parte al fatto che il tasso d’inflazione nell’area Euro è sostanzialmente minore di quello USA e le prospettive di rendimento reale sugli investimenti europei rimangono (per ragioni strutturali) ben peggiori di quelli USA ma, ricordiamoci, lo zero nominal lower bound (cioé il fatto che i tassi di interessi nominali non possono diventare negativi) vale anche per i tassi d’interesse sulle obbligazioni. In altre parole: se uno guarda ai dati attuali ed all’esperienza USA l’effetto sui tassi medi d’interesse sarà piccolo, molto piccolo.
Infine, sia detto e ricordato anche questo, tutta l’esperienza a disposizione (oltre che la teoria economica) insegnano che puoi ridurre fin che vuoi i tassi sul debito pubblico: se le prospettive di rendimento sugli investimenti privati sono deboli, ed il rischio di credito bancario permane, per quanta liquidità la BCE metta loro in cassaforte comprandone i titoli in portafoglio, banche scarsamente capitalizzate non correranno di certo a prestare ad aziende con povere prospettive di profitti. In altre parole: ciò che conta sono i rendimenti attesi sugli investimenti privati e questi migliorano se e solo se cambia la produttività, l’innovazione e l’efficienza dell’economia reale oltre che, ovviamente, la capitalizzazione del sistema bancario. Nessuno di questi fattori potrà essere influenzato in modo significativo dal QE della BCE. Dopodiché ognuno può farsi tutte le fantasie che vuole sull’elasticità della domanda/offerta di credito privato ai tassi d’interesse, ma fantasie sono e fantasie rimangono.