C’è chi lo definisce un presidio di illegalità e violenza politica da oltre trent’anni e chi ne fa invece il simbolo dell’accoglienza e della cooperazione, nonché un pezzo della tradizione milanese. Il dibattito sul Leoncavallo, storico centro sociale meneghino, che fin dal principio ha diviso la politica del capoluogo lombardo tra detrattori e sostenitori, non sembra volersi placare. Stavolta la posta in gioco è alta: all’orizzonte c’è la delibera di Giunta, che dovrà essere votata entro il 30 aprile, in cui è prevista una permuta tra l’immobile di via Watteau — di proprietà della società L’Orologio del gruppo Cabassi — e le ex scuole di via Zama oltre ad una palazzina di via Trivulzio entrambe di proprietà del comune di Milano. Proprio per questo lo scorso 6 febbraio una delegazione del Comune ha effettuato un’ispezione nel centro, al fine di valutarne le condizioni in ottica del dibattito che verrà effettuato in aula nell’attesa della votazione di fine aprile.
«Del Leoncavallo possiamo parlare fino a domani mattina caro mio — ha esordito Riccardo De Corato ex vicesindaco di Milano contattato da Linkiesta — lì è tutto illegale, non ci sono licenze né fanno scontrini. Non capisco come si possa pensare di legalizzare un posto che per anni ha rappresentato un presidio di illegalità e ha fatto della violenza politica il suo marchio di fabbrica. La storia del Leoncavallo la conosciamo bene, non sono io a doverla ricordare». D’altronde De Corato, storico rivale dei leoncavallini presente per la prima volta durante il sopralluogo della delegazione del Comune, non aveva espresso parole tenere nei confronti dell’operazione già lo scorso agosto, quando la Giunta comunale aveva approvato la permuta con i Cabassi. All’epoca parlò addirittura di Vietnam, manifestando così l’intenzione di un’opposizione senza mezze misure. Un concetto ribadito a distanza di mesi: «Ci metteremo di traverso, cercheremo di utilizzare al massimo il regolamento per impedire di realizzare quella che considero una vera e propria porcheria urbanistica sulle spalle dei milanesi. Perché chi pagherà saranno poi i cittadini».
Al capogruppo regionale di Fratelli d’Italia non è bastato nemmeno l’aver visto in prima persona le attività, le condizioni strutturali e le dimensioni artistiche di un centro che, nel 2007, l’allora assessore alla Cultura di Milano Vittorio Sgarbi aveva definito una “Cappella Sistina moderna”. E anzi rilancia: «il centro va sgomberato, non vedo alternative. Farò un esposto alla Corte dei Conti per danno erariale, e uno alla Magistratura perché con la storia che questo centro si porta appresso, ritengo che ci sia anche un problema a livello penale». Ma il vero obiettivo di De Corato sembra essere il sindaco Giuliano Pisapia: «Inutile negarlo tutta questa vicenda è un grosso pacco dono che Pisapia fa a chi ha sostenuto la sua campagna elettorale nel 2011. Noi ci batteremo affinche l’immobile torni al gruppo Cabassi, anche perché chi ce lo dice che gli altri centri sociali, come Macao o il Cantiere, non avanzino proposte di legalizzazione simili?».
Eppure all’indomani del sopralluogo tra i rappresentanti del Leonka si respirava aria di ottimismo, sul sito un post inequivocabile recita: “Vagheggiavano il Vietnam (chiaro il riferimento a De Corato, ndr). Non hanno trovato né risaie, né giungle insidiose. Ad attenderli le nostre associazioni, i nostri progetti, le nostre concrete attività e i nostri sogni. Ma soprattutto la storia impressa nei muri, una storia fatta di antifascismo, di accoglienza e di solidarietà”. Sulla stessa linea di pensiero Davide Farina storico portavoce del centro, oggi parlamentare di Sinistra Ecologia e Libertà: «Innanzitutto ci tengo a dire che non è la prima volta che una commissione consiliare viene a far visita al Leoncavallo, in passato è già successo, così come si sono già visti consiglieri di ogni schieramento politico. Inoltre definire questo centro un presidio di illegalità e violenza politica è quanto meno inappropriato. Milano ha vissuto più stagioni di scontro politico, e anche i sostenitori del centro destra che oggi parlano dovrebbero guardare ai loro presidi di illegalità». Ed è altresì inutile secondo Farina sostenere la tesi di un Pisapia a far da spalla all’operazione: «Credo che nella realtà dei fatti — continua Farina — siano le associazioni a fare un regalo alla città di Milano. Nell’edificio sono stati fatti oltre un milione e mezzo di euro di lavori di ristrutturazione a spese delle associazioni. Quando si fanno alcuni conti bisognerebbe comprendere tutto, mentre spesso tutto ciò viene dimenticato».
Quella del prossimo 30 aprile potrebbe essere l’ennesima data da ricordare nella storia già densa di avvenimenti del Leoncavallo. Sono passati poco più di vent’anni da quell’ 8 settembre 1994, giorno in cui i militanti del centro occuparono l’ex carteria di via Watteau con il benestare seppur non manifestato del proprietario Marco Cabassi. Di lì in avanti la cronaca parla di un continuo susseguirsi di manifestazioni, scontri con le forze dell’ordine e con quelle politiche. Le stesse forze politiche, di centro destra, che in questi anni hanno messo sempre i bastoni tra le ruote ad una vicenda che — secondo le parole di Farina — sarebbe già stata risolta da almeno quindici anni.
“Qui sono e qui resto” potrebbe non essere più lo slogan di uno spazio collettivo stretto da anni nella morsa di perquisizioni e ordini di sfratto costanti, ma il manifesto del nuovo inizio di un centro che si consegna alla città senza più barriere. «Legalizzare il Leoncavallo avrebbe un significato molto importante — conclude Farina — e non solo per quello spazio. C’è stato un obiettivo storico fino al 1975 che era quello di consegnare alla comunità di Milano alcune migliaia di metri quadrati destinati altrimenti alla speculazione edilizia. In secondo luogo penso sia giusto che i giovani continuino a trovare a Milano un laboratorio di talenti e professionalità quale è il Leoncavallo».
La partita, c’è da scommetterci, è tutt’altro che chiusa e da qui al 30 aprile non sono esclusi altri colpi di scena. Intanto però le scadenze incombono, e per i responsabili del centro di via Watteau si avvicina un’altra data importante, quella del 27 febbraio giorno in cui è stato previsto, da parte dell’ufficiale giudiziario, lo sfratto alle “Mamme del Leoncavallo”.